Riassunto analitico
Con la pubblicazione del Rapporto Svimez 2015 viene riportata alla ribalta non solo la lentezza della scarsa ripresa economica del Mezzogiorno, ma anche il dibattito mai chiuso sulla cosiddetta "Questione Meridionale". In questo elaborato sarà effettuata un'analisi storico-critica sul divario socio-economico tra il Sud e il Nord d'Italia, analizzando varie teorie circa la sua origine e il suo sviluppo e i molteplici interventi per arginarlo, da parte dei vari governi che si sono susseguiti dall'atto dell'unificazione ai giorni nostri. Questo lavoro oltretutto vuole indagare l'eventuale nesso tra questo divario, la situazione economica e culturale meridionale e la legittimazione della politica clientelare venutasi a palesare anche grazie al trasformismo storico. Un esempio che testimonia questa ipotesi è la teoria del politologo Edward C. Banfield esposta in The Moral Basis of a Backward Society (Le basi morali di una società arretrata), secondo la quale la condizione socio-economica regressa in cui verte il Mezzogiorno sarebbe derivata dal familismo amorale, un tipo di società basata su legami parentali estremizzati, che danneggerebbero la capacità naturale di associarsi nell'interesse collettivo. Su questa scia non è errato ipotizzare che in gran parte, l'attuale condizione economica e sociale potrebbe derivare dalle diffuse politiche di clientelismo da cui ancora oggi dipende quest'area. Il Mezzogiorno come difatti è innegabile, dipende da logiche orizzontali assoggettate alle fitte reti di forze clientelari costellate da politiche di favoritismi, le quali dirigono l'attività pubblica verso il favoreggiamento dei propri interessi personali a discapito del bene collettivo. Inoltre, con la formazione dei partiti di massa e l’introduzione del suffragio universale non tardano a fornire fertile terreno alla sua affermazione, favorendo maggiormente le politiche di scambi e favoritismi. Il conflitto tra la legittimità/autorità dello Stato e le capacità di controllo sociale del potere clientelare esaurisce buona parte della vita politica, impedendone la modernizzazione; in particolare, in questa fetta d'Italia non riescono a strutturarsi pienamente sistemi collettivi di organizzazione degli interessi (sindacati, associazioni di categoria) e forme di rappresentanza basate su solidarietà ideali (partiti di massa) in grado non solo di orientare il consenso, ma soprattutto di legittimare lo Stato e il regime politico. A questo fenomeno non è sfuggito lo Stato liberale, non sfugge un regime autoritario come il fascismo, non sfuggirà nemmeno lo Stato democratico. L’assenza di coscienza collettiva ha inizio con la comparsa del clientelismo di massa, conseguenza paradossale dell'affermarsi dello Stato Democratico. Si tratta di una nuova forma clientelare nella quale l’erogazione delle risorse pubbliche si rivolge non più a singole persone, tra le quali spesso intercorrono vincoli parentali, ma a intere categorie o gruppi sociali o ad ampie quote di popolazione, e pertanto ha bisogno di organizzarsi in istituzioni e formazioni burocratiche, che fungono da tramite tra lo Stato e i gruppi stessi. Sono molteplici gli interventi da parte dei vari governi che si sono susseguiti dall'atto dell'unificazione ai giorni nostri, per arginare tale squilibrio. L'esito degli ultimi interventi (Masterplan, Legge di stabilità, ecc...) per il rilancio dell'economia meridionale e per la creazione di nuove possibilità occupazionali a oggi non sono prevedibili, certo è che rappresentano una nuova occasione e per alcuni versi una nuova sfida sia per le amministrazioni del Mezzogiorno sia per quelle Nazionali.
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