Riassunto analitico
Molti farmaci, ed in particolare attivi antiblastici, sono soggetti a instabilità chimico-fisica in quanto nel tempo si possono verificare reazioni che vanno ad influenzare negativamente la loro sicurezza d’impiego. Tali reazioni sono spesso influenzate dal mezzo in cui si trova l’attivo e dalle condizioni ambientali. Questa tesi, che nasce da una collaborazione tra il Laboratorio di Preparazione Farmaci (LPF) della Farmacia Ospedaliera (FO) del Policlinico di Modena ed il laboratorio Te.Far.T.I del Dipartimento di Scienze della Vita si propone di valutare la stabilità di formulazioni di chemioterapici per somministrazione endovenosa. I protocolli di chemioterapia prevedono la somministrazione di differenti farmaci secondo schemi noti e scelti dal medico oncologo in funzione del tipo e dello stadio del tumore; il dosaggio del chemioterapico tuttavia è spesso variabile da paziente a paziente in relazione alla gravità della patologia ed alle caratteristiche fisiologiche del paziente stesso (peso, età , sesso, quadro clinico). Spesso le farmacie ospedaliere ricorrono ad allestimento estemporaneo di tali preparati in seguito alla richiesta del medico oncologo. Tale procedura dispendiosa dal punto di vista economico ed organizzativo, è spesso necessaria in mancanza di informazioni convalidate sulla stabilità di formulazioni di chemioterapici adatte alla somministrazione endovenosa. Le Linee Guida SIFO contengono spesso informazioni contrastanti, inoltre trattandosi di preparati personalizzati ogni preparato presenta in genere caratteristiche che lo contraddistinguono quali concentrazione, forza ionica, tipo di diluente, presenza di altri composti (attivi) in miscela quindi dovrebbe essere trattato come un caso a se. Peraltro in alcuni casi le informazioni relative alla stabilità fornite dalle ditte produttrici in fase di immissione in commercio del farmaco sono state smentite da studi condotti successivamente come nel caso del Bortezomib la cui stabilità in soluzione per infusione endovenosa è stata dimostrata di una settimana invece delle 24 ore dichiarate in fase di autorizzazione all’immissione in commercio. (Walker SE et al. Can J Hosp Pharm 2008; 61: 14-20). In questo contesto questa tesi si propone di valutare la stabilità di due farmaci comunemente utilizzati nel protocolli di chemioterapia presso il COM (Centro Oncologico Modenese) ed oggetto di controversie relative alla loro stabilità ovvero Melphalan e Idarubicina. In particolare sono stati allestite formulazioni analoghe a quelle più comunemente prescritte presso il COM le quali sono state studiate in merito alla loro stabilità mediante analisi HPLC valutando l’effetto di diverse variabili quali luce, temperatura di conservazione, mezzo di diluizione, pH, forza ionica. I risultati ottenuti relativamente al Melphalan hanno confermato alcune informazioni presenti in letteratura, e parallelamente fornito alcune interessanti risultati per migliorare la conservazione dei preparati. L’attivo è soggetto a una rapida degradazione in ambiente acquoso per l’istaurarsi di reazioni di idrolisi. Il farmaco diluito in soluzione fisiologica e conservato a temperatura ambiente o in frigo a 4°C è risultato stabile per non più di 6 ore. Risultati interessanti sono stati ottenuti riducendo ulteriormente la temperatura di stoccaggio (-20°C) ed aumentando la forza ionica del solvente, In queste condizioni la stabilità è aumentata fino a 7 giorni. Nel caso dell’Idarubicina, le analisi hanno evidenziato che le soluzioni utilizzate per la somministrazione endovenosa allestite in soluzione fisiologica sono caratterizzate da una buona stabilità (recupero del farmaco superiore al 90% per oltre 10 giorni sia a temperatura ambiente, sia a +4°C). E’ stata invece osservata una minore stabilità quando la soluzione è allestita utilizzando come veicolo la soluzione glucosata al 5%.
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