Riassunto analitico
La malattia di Alzheimer è una sindrome a decorso cronico e progressivo che colpisce circa il 5% della popolazione al di sopra dei 65 anni. È la forma più comune di demenza degenerativa nella popolazione anziana dei paesi occidentali, descritta per la prima volta nel 1907 dal neurologo tedesco Alois Alzheimer. Sono varie le ipotesi alla base del processo patogenetico di tale malattia: la più accreditata è l’ipotesi dell’amiloide secondo la quale alla base del danno cerebrale vi è un’alterazione del metabolismo dell’APP (proteina precursore dell’amiloide) che si verifica, per motivi ignoti, ad un certo punto della vita del soggetto. Quest’alterazione prevede l’intervento di un enzima, la beta-secretasi (o BACE), il cui taglio proteolitico, seguito da quello della gamma-secretasi, porta alla formazione di una sostanza neurotossica, l’amiloide beta, che si accumula nel cervello, sottoforma di placche, determinando la morte dei neuroni. Oltre alla placche amiloidi, a seguito di un esame autoptico post-mortem, sono stati individuati grovigli neurofibrillari (dovuti all’iperfosforilazione della proteina tau) nel cervello di un soggetto affetto dal morbo di Alzheimer. Il sintomo più precoce ed evidente è la perdita di memoria, la quale è diretta espressione della perdita di materia grigia in aree cruciali per i ricordi, come l’ippocampo. A questo sintomo si associano disturbi del linguaggio, difficoltà nell’esecuzione delle attività quotidiane, disorientamento spaziale e temporale, alterazioni della personalità. Le terapie attuali (basate principalmente sull’uso di inibitori dell’acetilcolinaesterasi) sono sintomatiche e solo parzialmente in grado di rallentare il decorso della malattia. Per questo, tenendo conto dell’ipotesi dell’amiloide, alcune delle maggiori aziende farmaceutiche si sono impegnate nella progettazione di una nuova classe di composti capaci di inibire BACE al fine di impedire la formazione del peptide amiloide. Gli approcci seguiti per l’identificazione di hit e quindi composti lead sono i seguenti: - inibitori peptidomimetici analoghi dello stato di transizione, dotati di valori di IC50 ed LE discreti, ma aventi alto PM e tutti i problemi di biodisponibilità e farmacocinetica relativi alla loro natura peptidica; - inibitori macrociclici caratterizzati da un’interazione col target migliorata in termini di affinità di legame e di selettività per via della natura macrociclica, la quale però è alla base del loro elevato PM; - utilizzo di metodi computazionali e di chimica combinatoriale nella progettazione razionale dell’inibitore basata su una conoscenza accurata del target e del suo ligando; - impiego dell’HTS (ad alta efficienza che consente la valutazione di migliaia di composti in tempi molto brevi) su hit “drug-like” per la progettazione di inibitori, il cui limite maggiore consiste in uno scarso margine di ottimizzazione per via del PM già pari a 500Da; - utilizzo dello screening dei frammenti che utilizza metodi biofisici quali la spettroscopia NMR, la spettroscopia SPR e cristallografia a raggi X su hit “lead-like” per la creazione di inibitori dotati di PM basso, buona LE e affinità di legame e potenza migliorabili attraverso un processo di ottimizzazione che consente comunque di rimanere nel range di caratteristiche ottimali. Purtroppo nonostante gli sforzi compiuti e l’enorme dispendio economico, attualmente non vi sono in commercio BACE inibitori. Un unico composto, individuato e realizzato col metodo basato sui frammenti, ha ottenuto esiti positivi negli studi di fase I e II ed è giunto alla fase III della sperimentazione clinica.
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