Riassunto analitico
La Demenza oggi per definizione è considerata una malattia cronica degenerativa che progressivamente porta alla perdita di tutte le capacità cognitive. Oggi le persone con demenza in Europa sono quasi 10 milioni e a livello mondiale circa 35 milioni; le previsioni indicano che arriveranno nel 2030 a 65 milioni di persone. In Italia a tutt’oggi si stimano circa 900.000 casi di demenza e più di 3 milioni di familiari sono coinvolti direttamente nell’assistenza. Una malattia spesso velata da pregiudizi, che portano a un ritardo nella diagnosi, riducendo la possibilità a tecniche per sostegno di ridurre tutti quei sintomi che si manifestano con un comportamento a volte aggressivo a volte depresso (Tomasi , et al., 2012). Gli studi repireti in letteratura sottolineo l’importanza di valutare la persona ammalata di demenza nella sua storia vissuta (McKeown, Ryan , Ingleton, & Clarke, 2013; Marocco Muttini & Marchisio, 2012; Monahan, 1993), e come mente che connette e interagisce in relazione con la famiglia. Il confronto con la teoria di Bateson è preso in esame dove l’autore ci porta a conoscere come la relazione viene prima di ogni cosa e che le ragioni del cuore si esplicitano senza la coscienza, ma sono atti dove l’uomo non è sempre consapevole di esprimere. La persona demente, proprio perché perde quella capacità di ricordare se stesso, l’ambiente ecologico/famiglia diventa quel continuo laboratorio di vita, durante la malattia, che permette di rendere possibile le relazioni. La famiglia come struttura che connette, possiamo pensare alla persona demente come una persona ammalata, ma che può ritrovare all’interno della famiglia un nuovo ruolo. Il supporto che oggi in letteratura, trasversalmente a quello medico, un miglior sostegno alle persone affette da demenza sono tecniche, (Ullan, et al., 2011; Beard , 2011; Saures , Fopma-Loy, Kinney, & Lokon, 2014), efficaci a ridurre i sintomi, definite Art Terapy ,che richiedono progetti formativi (Marocco Muttini & Marchisio, 2012), per educatori, pazienti e caregiver,attraverso una metodologia educativa, tecniche non farmacologiche che migliorano la qualità di vita del paziente e indirettamente quello del caregiver. Altri autori (Svebak, Romundstad, & Holmen, 2010; Nasir, 2013) sottolineano l’effetto benefico del sorriso come antidepressivo. Il quadro emerso dal lavoro condotto, conferma il carattere “ familiare” della malattia Demenza e totale è risultato del coinvolgimento della famiglia nella cura e nell’assistenza (Monahan, 1993; McKeown, Ryan , Ingleton, & Clarke, 2013, Silvano, 2004).
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