Riassunto analitico
Questo lavoro ha lo scopo di esplorare la funzione del teatro dei rifugiati attraverso sei diverse opere teatrali: The Container (2007) di Clare Bayley, White Goods (2010) di Sylvie Hoffman and Aimé Kongolo, Refugee Boy (2013) di Lemn Sissay, Lampedusa (2015) di Anders Lustgarten, Stowaway (2016) di Hannah Barker e Lewis Hetherington and The Jungle (2015) di Joe Murphy and Joe Robertson. Le opere hanno lo scopo di dare una voce autentica alle sofferenze dei rifugiati e ai loro viaggi disperati. Vengono proposte riflessioni iniziali sul ruolo del teatro, che non è solo quello di aiutare il pubblico ad essere più attivo eticamente e politicamente dopo essersi confrontato con storie originali, ma anche di smantellare le opinioni pubbliche dominanti generate dai media e dalle politiche di esclusione. L'obiettivo di creare uno spazio sicuro per aprire una conversazione, dove empatia e solidarietà hanno un ruolo importante, è ciò che rende questo tipo di dramma contemporaneo e necessario. Inoltre, vengono spiegate le differenze tra termini quali “rifugiato”, “richiedente asilo” e “migrante”, che conducono poi ad un’analisi dell'importanza del trauma nella narrazione dei rifugiati. Una sezione è poi dedicata all'etica di questo tipo di teatro, in quanto queste storie non sempre vengono create e/o raccontate dai rifugiati stessi. In secondo luogo, diverse strategie e temi vengono analizzati in relazione alle opere. Inizialmente, viene esaminato l'impatto di alcuni tipi di produzioni immersive sul pubblico, ponendo anche attenzione alla dimensione testuale delle opere e al loro diverso uso del realismo come modalità principale. Un terzo elemento che può influenzare la ricezione della storia da parte del pubblico è dato dalla diversa tipologia di finali, sia negativi che aperti. L'ultima parte è poi dedicata alle relazioni interculturali, come quelle che troviamo tra i volontari e i richiedenti asilo, così da cercare di comprendere come rappresentare in maniera equilibrata ed efficace la questione dell’ospitalità, della testimonianza e della responsabilità individuale e collettiva. Successivamente, le opere teatrali sono discusse anche in termini di difficoltà che i rifugiati e i richiedenti asilo possono incontrare nel mondo occidentale, e il modo in cui potrebbero affrontarli. Adattarsi a nuove strutture sociali e culturali può essere difficile, poiché i rifugiati cercano di rimanere connessi alla loro identità originale associata alla loro casa ormai perduta. Infatti, lo status di rifugiato comporta al suo interno numerose sfide, come la decisione di impegnarsi o meno politicamente. Viene poi discusso l'uso della commedia e dell’ironia per criticare e spiegare comportamenti problematici ad un pubblico non informato. Il nucleo del mio lavoro è quello di esaminare le opere in dettaglio, attraverso tutti quegli elementi legati ai concetti di identità, narrazione, e messa in scena. Si stabilisce una riflessione sul ruolo del teatro e sulla sua eticità nel rappresentare narrazioni così importanti, ma allo stesso tempo così dibattute, sul dilemma dei rifugiati.
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Abstract
This work explores refugee theatre and its function by examining six different plays: The Container (2007) by Clare Bayley, White Goods (2010) by Sylvie Hoffman and Aimé Kongolo, Refugee Boy (2013) by Lemn Sissay, Lampedusa (2015) by Anders Lustgarten, Stowaway (2016) by Hannah Barker and Lewis Hetherington, and The Jungle (2015) by Joe Murphy and Joe Robertson. These works aim to give an authentic voice to refugees’ plight and desperate journeys.
Initial reflections are made on the role of the theatre, which is not only to help audiences be more engaged ethically and politically after being confronted with original stories, but also to dismantle the prevailing public opinion on refugees generated by the media and the politics of exclusion. The objective of giving a safe space to start a conversation, where empathy and solidarity have an important role, is what makes this type of drama contemporary and necessary. Moreover, the differences between terms such as “refugee”, “asylum seeker” and “migrant” are explained, which then leads to an examination of the importance of trauma in refugees' storytelling. A section is then dedicated to the ethics of this type of theatre, as these stories are not always created and/or told by refugees themselves.
Secondly, different strategies and themes are analysed in relation to the plays. Initially, the impact of different immersive productions on the audience is examined. This is then related to the effect of verbatim and political drama, which adds an important layer of realism to these narratives. A third element that can impact the audience's reception of the story is also the different types of endings, whether negative or open-ended. The last part is then dedicated to cross-cultural relations, as the ones we find between volunteers and asylum seekers, in an attempt to understand how to properly bear witness and responsibility in such delicate situations.
Subsequently, the plays are also examined in terms of the difficulties refugees and asylum seekers may encounter in the Western world and the ways in which they might cope with them. Adjusting to new social and cultural structures can be difficult, as refugees try to stay connected to their origins and sense of self associated with their lost home. In fact, the refugee status brings within itself numerous challenges, such as deciding whether to be engaged politically. The use of comedy and irony to criticize and explain problematic behaviour to an uninformed audience is then discussed.
The core of my work is to examine the plays at length, through all those elements related to concepts of identity, storytelling, and staging. A reflection is established on the role of theatre and its ethicality in representing such important yet debated narratives of refugees' plight.
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