Riassunto analitico
La disprassia è fra i disturbi dello sviluppo neurobiologico meno conosciuti e, per certi aspetti, accompagnata da idee confuse e da interpretazioni controverse. Anche nell'ambiente scolastico le conoscenze limitate su questo problema portano a considerare la disprassia “la grande sconosciuta” (Nicolussi Tagariello 2016). Si parla di dislessia, disortografia, discalculia, ma poco di disprassia che è un disturbo della pianificazione e della coordinazione dei movimenti volontari, indispensabili per compiere una nuova azione motoria finalizzata ad un preciso scopo (prassia). Non è facile fare una corretta diagnosi di questo disturbo, scambiato spesso per un deficit della coordinazione motoria (DCD), ossia una difficoltà esecutiva delle azioni non finalizzate. Nella condizione disprassica, sebbene siano conservate le capacità cognitive, sono le funzioni adattive (azioni volontarie orientate ad un obiettivo) a dimostrarsi deficitarie. Tali difficoltà obbligano i bambini disprassici a impiegare eccessive quantità di energia per svolgere gesti che per i loro coetanei risultano semplici, perché automatizzati durante lo sviluppo. Ad esempio per abbottonare una maglia, allacciare le scarpe, utilizzare le posate e scrivere, è fondamentale adoperare e coordinare mani e dita, controllare con l’analizzatore visivo ciò che si sta compiendo e gestire gli aspetti sequenziali e temporo-spaziali impliciti nelle azioni quotidiane e nelle attività scolastiche (Huron 2014). L’allievo disprassico è spesso visto come un bambino goffo, maldestro (inciampa di frequente, cade sulle cose e incorre in contusioni), lento, poco attento e poco coinvolto nelle attività collettive e/o ludiche. Nel 60% manifesta povere abilità fino/grosso motorie (Zoia 2004). Ostacoli nella motricità fine possono ripercuotersi nell'apprendimento della scrittura, nella quale tali bambini progrediscono con enorme incertezza. Essi presentano una inadeguata manipolazione della penna e difficoltà di gestione dello spazio del foglio e realizzano lettere dalle forme irregolari e disposte scorrettamente nella pagina. Difatti l’80% degli alunni disprassici presenta disgrafia, intesa come “difficoltà nel controllo del movimento e della formazione delle lettere durante l’attività dello scrivere” (Cermak & Larkin 2001, cit. in Zoia 2004, p. 67). Nella disgrafia, considerata il segno più frequente rintracciabile all'interno della disprassia, è evidente la difficoltà a compiere progetti motori in termini grafo-motori e soprattutto ad eseguire volontariamente movimenti in sequenza (Sabbadini 2005). La padronanza degli atti motori coinvolti nella formazione dei grafemi, con rispetto dei vincoli visuo-spaziali e visuo-motori, è un fattore rilevante per il successo scolastico. Tuttavia alla scuola primaria l’insegnamento della scrittura tende a focalizzarsi sulla corrispondenza fonema-grafema e sugli elementi ortografici e grammaticali della lingua scritta, tralasciando gli aspetti grafo-motori di tale compito. A causa di ciò nelle classi è facile notare alunni con difficoltà nel tracciare lettere o che realizzano una scrittura disarmonica, con tratti apparentemente disgrafici. Le difficoltà legate alla grafia possono rappresentare un considerevole ostacolo nel progresso scolastico di un bambino, compromettendo anche l’acquisizione di regole ortografiche e sintattiche, qualora rilettura e autocorrezione non fossero realizzabili (Pratelli 1995, cit. in Blason et al. 2004). In relazione a queste problematiche, le difficoltà grafo-motorie possono interessare sia alunni disgrafici su base disprassica, sia alunni normodotati. È di fronte a questi ostacoli che è sorto un laboratorio grafo-motorio all'interno della scuola primaria: l’intervento ha coinvolto tre alunni di 7 anni che mostravano difficoltà grafo-motorie. La sperimentazione ha affrontato l’ambito della scrittura concentrando l’attenzione sull'aspetto motorio di questo processo.
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