Riassunto analitico
Il presente approfondimento ha lo scopo di illustrare gli aspetti valoriali della pratica sportiva, o più in generale della pratica motoria, nella formazione dell’individuo e dello stesso nel suo ruolo sociale. La ricerca nasce, infatti, dall’esigenza di indagare l’influenza dell’educazione intrinseca alla disciplina sportiva negli aspetti di vita condivisa e interiore, quali l’affrontare il fallimento, la vittoria o la solidarietà; per far questo si è scelto di ripercorrere anche l’evoluzione di tali valori in relazione all’educazione nel corso del tempo, a partire quindi dalle prime forme di aggregazione dell’uomo, finalizzate alla caccia e alla protezione ove ognuno ricopriva un ruolo specifico, fino al gioco sport e ai diversi progetti oggi attuati all’interno delle nostre classi. Che ruolo svolge l’attività fisica nella formazione ed educazione del bambino? Quanto tempo ad essa è dedicato? Perché? Queste sono solo alcune delle domande che guidano la presente analisi. Infine, viene trattato il tema del fair play nei profili della sua potenzialità scolastica e delle discipline sportive come esempio di applicazione efficacie della valorialità sportiva. Nella società contemporanea ci si interroga spesso riguardo all’individualismo verso il quale diversi canoni comportamentali ci spingono; difatti solitamente viene elogiato il furbo, non il giusto, il risultato, non il processo, il vincitore e non il team, in questa corsa al successo, spesso segnata da isolamento, doppiogiochismi e slealtà, vengono a mancare alcune tappe o fasi essenziali per la costruzione dell’uomo nella sua interiorità e nel suo essere un animale sociale, tappe difficilmente recuperabili una volta giunti al traguardo, dopo molti anni passati nella diffidenza. Alla base di questo pensiero si trova l’idea di condivisione: condivisione di norme e condivisione di esperienze, e la volontà di veicolare valori, anche sociali, che garantiscano il piacere dell’essere parte di qualcosa. Ci si riferisce al senso di appartenenza sia in merito allo sviluppo di competenze di cittadinanza, sia in merito all’accettazione del sé in relazione agli altri, al riconoscimento dei propri limiti e delle proprie potenzialità. Conseguenza naturale del conoscere sé stessi in relazione agli altri è il riconoscere il proprio ruolo all’interno della rete sociale costituita da scambi interpersonali e di cooperazione, e il ricoprire il proprio posto affinché l’ingranaggio sociale continui a funzionare. A questo punto, si ritiene importante non stigmatizzare l’aspetto della competizione, tra le altre cose elemento fondante della pratica motoria e sportiva, in quanto si può essere portati ad incolpare questo aspetto, additandolo come causa infestante, per giustificare comportamenti antisocialiscambiandoli per eccesso di zelo. Al contrario la competizione motiva l’individuo, ma è esso stesso e dirigere lo sguardo verso l’obiettivo, o meglio è l’educazione che gli viene impartita a segnare la scala d’importanza di ogni suo fine ed è qui che si inserisce il fair play nella sua accezione valoriale. La pratica sportiva può essere una medicina all’eccesso di individualismo così caratterizzante i nostri decenni? Gli educatori, gli insegnati, gli istruttori possono essere fautori di questa inversione di marcia?
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