Riassunto analitico
La tematica del fine vita rappresenta una dei principali problemi che l’umanità si è ritrovata a dover risolvere sin dalle più risalenti civiltà. Già gli le antiche civiltà greche e romane hanno disquisito sul tema, offrendo possibili soluzioni contro le sofferenze derivanti da malattie incurabili. L’avvento del Cristianesimo ha posto un freno alla possibilità di morire a causa della malattia, in quanto la vita è un dono di dio e l’uomo ne è il semplice custode. Nel dibattito filosofico che è sorto sul tema si scontrano due macro-teorie inconciliabili fra loro: la teoria del disponibilismo e la teoria dell’indisponibilismo. Queste concezioni filosofiche sono incompatibili in quanto sono dicotomiche fra loro. In una teoria, quella del disponibilismo, si predica la possibilità per l’uomo di disporre della propria vita in base al proprio credo, lasciando ampio spazio al libero arbitrio e alla propria autodeterminazione. Viceversa, la teoria indisponibilista predica l’assoluta impossibilità per l’uomo di disporre della propria vita a proprio piacimento, in quanto questa rappresenta un bene di rango così elevato che l’uomo non può intaccare. Scegliere una o l’altra filosofia implica una scelta di campo ben precisa con numerose conseguenze pratiche. In Italia, storicamente, ha prevalso la teoria indisponibilista che ha visto il suo apice, a livello normativo, con l’emanazione del Codice Rocco, nel quale si prevedono pene particolarmente severe per chi aiuta una persona a suicidarsi o commetta un omicidio di una persona consenziente. A livello giurisprudenziale e dottrinale il dibattito è stato vivace sin dai primi anni 2000, con il susseguirsi di vari casi che hanno scosso l’opinione pubblica e caratterizzato la discussione dottrinale. Basti ricordare il celebre caso Welby con il quale si è giunti ad affermare, per merito di una sentenza del GUP di Roma, che il rifiuto di terapie, anche salvavita, così come sancito dalla Carta Costituzionale, fosse direttamente applicabile nel nostro ordinamento. Altro importante caso, sempre negli stessi anni, è il cosiddetto caso Englaro. Qui la Corte di Cassazione ha sancito dapprima che la nutrizione e l’idratazione artificiale, così come sostenuto dalla comunità scientifica internazionale, fossero dei presidi medici possibili di disattivazione. Inoltre si è sentenziato che la volontà di una persona di disattivare terapie salvavita sia da rispettare anche se esplicitata da un tutore il quale agisce in nome e per conto del proprio assistito. Nel 2017 ha visto la luce la legge 2019 con la quale si disciplina in modo più organico la possibilità per il malato di rifiutare le terapie e si dà valore giuridico alle Disposizioni Anticipate di Trattamento laddove non sia più possibile, per il malato stesso, esprimere la propria volontà L’ultimo caso di notevole importanza che ha investito l’Italia è il c.d. caso Cappato\Antoniani con il quale si è giunti a dichiarare l’illegittimità costituzione dell’articolo 580 c.p. nella parte in cui non si preveda che l’aiuto al suicidio, effettuato da un professionista all’interno del SSN, sia possibile se rispettati questi 4 parametri: a) Essere affetti da una patologia irreversibile, b) Fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che il malato trova intollerabili, c) Tenuti in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitali, d) Capaci di prendere decisioni libere e consapevoli. La situazione nel resto dell’Europa non è la stessa che si vive in Italia. Lo Stato che ha adottato la normativa più progressista sul tema è sicuramente la Spagna. Difatti con la Ley organica de regulación de la eutanasia si è previsto un vero e proprio diritto sociale ad ottenere, in caso di malattia, la morte.
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