Riassunto analitico
Viene da chiedersi perché parlare di privacy oggi, a distanza di 23 anni dalla legge n. 675 del 1996 e nell’era in cui la vita sui social e l’identità digitale fa sì che tutto (o quasi) della nostra esistenza, sia postato in rete. Sembra quasi un paradosso, quindi, parlare di riservatezza (tale è, infatti, secondo una accezione, la “privacy” come meglio si spiegherà) in un mondo in cui la vita di ciascuno è “social”, ossia liberamente conoscibile da una platea potenzialmente sterminata di persone. Eppure, paradosso non è se solo si pensi a quale prezzo rinunciamo, spesso inconsapevolmente, ad aspetti privati ed intimi della nostra esistenza per l’ebbrezza di renderli pubblici. Si paga un prezzo in livello di sicurezza (le foto delle vacanze postate su Facebook sono un assist ai ladri di appartamento), in dignità (la tragedia di Tiziana Cantone, suicidatasi dopo la diffusione in rete di un video hot ne è l’emblematico esempio) e, per quanto riguarda l’indebita diffusione dei dati sanitari, in gravi violazioni delle libertà e dei diritti fondamentali di quella persona, nel rischio di profilazione per il raggiungimento di obiettivi diversi da quelli di cura e rivolti, invece, al condizionamento delle persone nelle loro scelte politiche e sociali, senza tralasciare il rischio di utilizzo dei dati per la soddisfazione di interessi privati, commerciali e per la customizzazione del marketing da parte dei soggetti che se ne sono indebitamente appropriati. Questo essendo lo scenario, va da sé che parlare oggi di privacy sia, a dispetto delle apparenze, fondamentale per garantire a tutti i cittadini che il trattamento dei loro dati (definiti “il nuovo oro”) avvenga nel rispetto di rigidi confini stabiliti dal legislatore europeo con l’approvazione del Regolamento UE 2016/679.
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