Riassunto analitico
Gli antidoti dei NAO
La terapia anticoagulante è utilizzata comunemente, e sempre più frequentemente, per la profilassi e il trattamento delle complicanze tromboemboliche associate alla fibrillazione atriale (FA), al tromboembolismo venoso profondo (TVP), alle valvulopatie cardiache e alle protesi valvolari cardiache meccaniche e biologiche. Lo scopo principale della terapia è quello di ridurre il potere coagulativo del sangue in modo da renderlo più “fluido”. Ciò permette di evitare formazioni di coaguli e protegge il paziente da eventi tromboembolici, quali infarto del miocardio, ictus, embolie arteriose periferiche, trombosi venose ed embolie polmonari. Per ottimizzare l’efficacia e garantire contemporaneamente la sicurezza della terapia, i pazienti in trattamento devono essere controllati periodicamente dal punto di vista clinico e laboratoristico. I farmaci anticoagulanti hanno meccanismi d’azione diversi, ma tutti alterano l’equilibrio tra pro-coagulazione e anticoagulazione. Gli anticoagulanti tradizionali a oggi sul mercato inibiscono più passaggi della cascata coagulativa e comprendono sia farmaci attivi per os, come gli antagonisti della vitamina K, sia farmaci attivi per via parenterale, come l’eparina. Gli anticoagulanti orali innovativi, alcuni già disponibili e altri in fase avanzata di sviluppo clinico, inibiscono selettivamente uno specifico fattore della coagulazione, come gli agenti antitrombina (Dabigatran), e gli agenti anti-fattore Xa (Rivaroxaban, Apixaban, Edoxaban). Rispetto alla terapia anticoagulante tradizionale, i NAO sono efficaci almeno quanto warfarin ma più sicuri, non necessitano di controlli ematici costanti, hanno scarsissime probabilità di interazioni con alimenti e altri farmaci, sono somministrati a dosaggio fisso e presentano un ridotto rischio emorragie cerebrali rispetto alla terapia tradizionale. L’impiego dei nuovi anticoagulanti orali (NAO) sta assumendo un ruolo sempre più strategico nella prevenzione di eventi tromboembolici in pazienti a rischio. Per questo è importante disporre, per le situazioni di emergenza come sanguinamenti gravi e incontrollati o interventi d’urgenza, di strumenti che ne inattivino gli effetti in maniera rapida, specifica e sicura. Se i NAO hanno ridotto, rispetto al trattamento anticoagulante orale tradizionale il rischio di sanguinamento cerebrale, non significa che non si possano verificare sanguinamenti gravi, specie in caso di pazienti politraumatizzati o quando vengano richiesti interventi chirurgici urgenti che non sarebbe possibile effettuare in presenza di un’anticoagulazione attiva. Nel momento in cui si dovesse verificare un’emergenza, l’antidoto fa veramente la differenza. Nell’ottobre del 2015, idarucizumab, un anticorpo monoclonale umanizzato anti-dabigatran è stato approvato dall’FDA per l’impiego negli USA. Grazie al suo meccanismo d’azione elimina in pochi minuti dalla circolazione sanguigna il dabigatran, riportando la coagulazione a una situazione di normalità. Per quanto riguarda gli inibitori del fattore Xa ci sono due candidati antidoti: andexanet alfa e ciraparantag. L’andexanet è figlio dell’ingegneria genetica: è una sorta di fattore Xa ricreato in laboratorio, modificato attraverso l’inserimento di una mutazione nel suo sito catalitico che di fattor ne abolisce l’attività anticoagulante. Ciraparantag è ancora in fase di valutazione come antidoto di inversione per i NAO.
|