Riassunto analitico
Il glioblastoma (GBM) è una forma di cancro altamente maligna (Grado IV secondo la classificazione della WHO), tra le più aggressive conosciute: è caratterizzato da crescita rapida, alta malignità, alta invasività, capacità evolutiva sia pre che post-intervento, e presenta scarsa aspettativa di sopravvivenza, che in genere non supera i 12-15 mesi di vita (3 mesi se non trattato). Le Linee Guida per la gestione del GBM sono strutturate come requisiti minimi che devono essere proposti nella diagnosi e nella terapia, e azioni essenziali che qualsiasi oncologo dovrebbe effettuare per fornire una cura del cancro accettabile. La diagnosi prevede un’analisi istopatologica basata sull’esame ed il riconoscimento di marker molecolari specifici in campioni tumorali ottenuti mediante biopsia e l’ottenimento di immagini cerebrali mediante risonanze magnetiche. Lo schema di terapia standard per trattare pazienti al di sotto dei 70 anni prevede interventi chirurgici, radioterapia, chemioterapia concomitante con temozolomide e carmustina. Tuttavia, sia le tecniche utilizzate nella diagnosi che quelle applicate al trattamento della patologia presentano dei limiti: la resistenza alla terapia e la velocità con cui le cellule tumorali mutano nel tempo impone la necessità di ricercare strategie che prevedano il passaggio attraverso la barriera emato-encefalica (BEE), ostacolo principale da oltrepassare per consentire sia ai chemioterapici che al mezzo di contrasto di raggiungere il parenchima cerebrale in concentrazioni accettabili, ed incrementare così la regressione del tumore o la sua diagnosi. I trattamenti ad oggi applicati presentano un rapporto rischio/beneficio sfavorevole: a causa della scarsa selettività dei chemioterapici e della loro scarsa capacità di penetrazione a livello cerebrale, la dose di farmaco che si accumula nella massa tumorale è scarsa e non sufficiente ad inibire l’attività di tutte le cellule tumorali, con conseguente problematica di recidiva o di incompleto trattamento, a cui si associano effetti collaterali notevoli per accumuli indesiderati in organi non-target. Sono stati investigati diversi approcci per lo sviluppo di nuove metodologie di trattamento che riescano ad ovviare ai problemi dimostrati dalla terapia convenzionale. Tra queste, la nanomedicina, che utilizza sistemi nanoparticellari (da 1 a 250-500 nanometri di dimensioni) è stata utilizzata per la veicolazione di farmaci specificatamente diretti al tumore, per migliorarne la farmacocinetica e la biodistribuzione nell’organismo. Tra gli approcci più promettenti troviamo quindi sistemi nanometrici modificati in superficie con ligandi specifici per strutture appartenenti al GBM che permettono di aumentare la selettività per il tessuto target e ridurre quindi il rischio di accumulo in tessuti sani e la tossicità sistemica. Con tali approcci, risulterebbe quindi possibile applicare in terapia anche chemioterapici più efficaci di TMZ e BCNU, come i Taxani e la Doxorubicina. Nel corso di questo lavoro di tesi, per considerare criticamente la validità dei sistemi nanoparticellari nella terapia contro il GBM, e valutarne i vantaggi rispetto alla terapia convenzionale, sono stati presi in considerazione diversi studi in vivo condotti su modelli animali murini, analizzando sopravvivenza media, volume della massa tumorale ed indice di inibizione tumorale, mettendo a confronto tali risultati con le terapie convenzionali.
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