Riassunto analitico
L’elaborato ha ad oggetto profili, tanto significativi quanto problematici, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231: la rappresentanza, la partecipazione e la garanzia del diritto di difesa dell’ente nell’ambito del procedimento penale a suo carico. Nello studio si è privilegiata una prospettiva rivolta agli aspetti processuali della materia. Il decreto in questione, difatti, sfalda l’architettura classica del processo penale, introducendo un inedito microcodice di procedura penale d’impresa in cui la coesistenza tra gli istituti tradizionali del codice di rito e le nuove creazioni legislative è lasciata all’interprete. Si tratta, quindi, di un modulo incompleto nelle soluzioni e ciò ha generato inevitabilmente contrasti giurisprudenziali, oscillazioni interpretative e questioni di legittimità costituzionale. La trattazione si sofferma sugli effetti derivanti dall’introduzione del nuovo impianto normativo ed è volta a comprendere in che misura la criminalità d’impresa abbia inciso sulla fisionomia classica del processo penale. Infatti, la persona giuridica coinvolta dal sospetto dell’illecito è molto diversa dall’essere umano, nonostante ricopra lo stesso ruolo. Da questo angolo visuale, l’obiettivo è mostrare gli adattamenti che il processo de societate impone alle regole del codice di rito e i riflessi sulle garanzie fondamentali: in particolare, la presunzione d’innocenza, il diritto di difesa e il privilegio contro l’autoincriminazione. Nella prima parte della disamina è stata delineata l’ossatura del sistema previsto dal d.lgs. 231/2001, mediante la trattazione dei principali profili sostanziali e processuali della disciplina dedicata agli enti. La seconda parte si sofferma sull’analisi di alcuni momenti fondamentali del processo che coinvolgono il soggetto collettivo e che permettono di cogliere le più significative deviazioni dal modello processuale tradizionale. In particolare, la trattazione è incentrata sulle modalità che consentono ad un imputato, diverso dalla persona fisica, di essere coinvolto nel processo penale e di esercitare le facoltà difensive. Pertanto, l’attenzione è stata posta sulla persona incaricata di agire in nome e per conto dell’imputato nel procedimento: il rappresentante legale dell’ente. In primo luogo, è stata affrontato il tema della rappresentanza del soggetto collettivo, dedicando particolare attenzione alla distinzione tra difesa tecnica e autodifesa, che nel “processo 231” si traduce nella spinosa dicotomia partecipazione personale e assistenza difensiva. In secondo luogo, la disamina si è concentrata sulla partecipazione dell’ente al procedimento. Sono così state esaminate: in primis, le modalità di costituzione dell’ente e i riflessi sull’esercizio delle prerogative difensive in considerazione della recente pronuncia della Corte di Cassazione che ha risolto definitivamente alcuni interrogativi rispetto ai quali la giurisprudenza aveva assunto orientamenti contrastanti nel corso degli anni; successivamente, le conseguenze del mancato intervento dell’ente nel processo e la controversa disciplina della contumacia; da ultimo, il regime delle notificazioni che diverge dalla procedura tradizionale. Infine, è stata vagliata l’effettività della tutela apprestata all’ente-imputato alla luce dei casi di “fibrillazione” della rappresentanza. Da un lato, è stata presa in considerazione la situazione in cui la persona incaricata di rappresentare l’ente versi in una situazione di insolubile conflitto di interessi, conseguente al fatto di essere essa stessa coinvolta nella vicenda processuale in qualità di indagato/imputato del reato-presupposto; dall’altro lato, è stata esaminata la disciplina dettata in materia di incompatibilità a testimoniare.
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Abstract
L’elaborato ha ad oggetto profili, tanto significativi quanto problematici, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231: la rappresentanza, la partecipazione e la garanzia del diritto di difesa dell’ente nell’ambito del procedimento penale a suo carico.
Nello studio si è privilegiata una prospettiva rivolta agli aspetti processuali della materia. Il decreto in questione, difatti, sfalda l’architettura classica del processo penale, introducendo un inedito microcodice di procedura penale d’impresa in cui la coesistenza tra gli istituti tradizionali del codice di rito e le nuove creazioni legislative è lasciata all’interprete. Si tratta, quindi, di un modulo incompleto nelle soluzioni e ciò ha generato inevitabilmente contrasti giurisprudenziali, oscillazioni interpretative e questioni di legittimità costituzionale.
La trattazione si sofferma sugli effetti derivanti dall’introduzione del nuovo impianto normativo ed è volta a comprendere in che misura la criminalità d’impresa abbia inciso sulla fisionomia classica del processo penale. Infatti, la persona giuridica coinvolta dal sospetto dell’illecito è molto diversa dall’essere umano, nonostante ricopra lo stesso ruolo. Da questo angolo visuale, l’obiettivo è mostrare gli adattamenti che il processo de societate impone alle regole del codice di rito e i riflessi sulle garanzie fondamentali: in particolare, la presunzione d’innocenza, il diritto di difesa e il privilegio contro l’autoincriminazione.
Nella prima parte della disamina è stata delineata l’ossatura del sistema previsto dal d.lgs. 231/2001, mediante la trattazione dei principali profili sostanziali e processuali della disciplina dedicata agli enti.
La seconda parte si sofferma sull’analisi di alcuni momenti fondamentali del processo che coinvolgono il soggetto collettivo e che permettono di cogliere le più significative deviazioni dal modello processuale tradizionale. In particolare, la trattazione è incentrata sulle modalità che consentono ad un imputato, diverso dalla persona fisica, di essere coinvolto nel processo penale e di esercitare le facoltà difensive. Pertanto, l’attenzione è stata posta sulla persona incaricata di agire in nome e per conto dell’imputato nel procedimento: il rappresentante legale dell’ente.
In primo luogo, è stata affrontato il tema della rappresentanza del soggetto collettivo, dedicando particolare attenzione alla distinzione tra difesa tecnica e autodifesa, che nel “processo 231” si traduce nella spinosa dicotomia partecipazione personale e assistenza difensiva.
In secondo luogo, la disamina si è concentrata sulla partecipazione dell’ente al procedimento. Sono così state esaminate: in primis, le modalità di costituzione dell’ente e i riflessi sull’esercizio delle prerogative difensive in considerazione della recente pronuncia della Corte di Cassazione che ha risolto definitivamente alcuni interrogativi rispetto ai quali la giurisprudenza aveva assunto orientamenti contrastanti nel corso degli anni; successivamente, le conseguenze del mancato intervento dell’ente nel processo e la controversa disciplina della contumacia; da ultimo, il regime delle notificazioni che diverge dalla procedura tradizionale.
Infine, è stata vagliata l’effettività della tutela apprestata all’ente-imputato alla luce dei casi di “fibrillazione” della rappresentanza. Da un lato, è stata presa in considerazione la situazione in cui la persona incaricata di rappresentare l’ente versi in una situazione di insolubile conflitto di interessi, conseguente al fatto di essere essa stessa coinvolta nella vicenda processuale in qualità di indagato/imputato del reato-presupposto; dall’altro lato, è stata esaminata la disciplina dettata in materia di incompatibilità a testimoniare.
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