Riassunto analitico
Base di partenza scientifica -Il carcinoma prostatico localizzato è inizialmente caratterizzato da una buona risposta alla terapia di deprivazione da androgeni dopo resezione chirurgica. Tuttavia, circa un terzo dei pazienti recidiva e in tal caso le terapie disponibili sono poco efficaci. In questi pazienti si riscontrano alterazioni della via di segnalazione di fosfoinositide 3-chinasi (PI3K) quali mutazioni e modificazioni epigenetiche e post-traduzionali, a carico dei geni PIK3CA, AKT1 e dei regolatori negativi della via, PTEN e PHLPP1/2. Il principale effettore della PI3K, AKT, attraverso la fosforilazione di innumerevoli substrati ha un ruolo cruciale nella regolazione dei meccanismi di morte e sopravvivenza sia in condizioni normali che patologiche. Pertanto, grazie alla disponibilità di numerosi farmaci inibitori di questa via di segnale, sono in corso trial clinici di “kinase inhibitor therapy” che associano inibitori della sintesi degli androgeni quali l’Abiraterone agli inibitori di AKT Capivasertib (AZD5363) e Ipatasertib (GCD-0068), con risultati che paiono promettenti.
Risultati preliminari-Studi preliminari in vitro, condotti nel laboratorio della professoressa Marmiroli utilizzando un modello di cellule di carcinoma prostatico PTEN-/-, hanno evidenziato che il silenziamento di AKT provoca una drammatica down-modulazione di un noto oncosoppressore, il miR145-5p. Tramite RT-qPCR, è stato poi evidenziato un forte aumento di espressione di un bersaglio del miR145-5p, l’oncogene N/K-Ras. Poiché Ras è un potente attivatore di PI3K/AKT, è ipotizzabile che il silenziamento di AKT provochi un effetto “rimbalzo” di riattivazione della cascata. Obiettivo dello studio- Su queste basi, e considerata l’importanza della somministrazione di inibitori di AKT nei trial clinici in corso, l’obiettivo della mia tesi è quindi di analizzare se l’inibizione farmacologica prolungata di AKT con il pan-AKT inhibitor Capivasertib produca gli stessi risultati ottenuti attraverso il silenziamento della chinasi, in un modello di carcinoma prostatico PTEN-/- in vitro rappresentato dalla linea cellulare PC3. In altre parole, abbiamo voluto verificare se il farmaco sia in grado di inibire in modo permanente AKT senza alterare l’espressione del miR145-5p e dei suoi geni target, tra cui Ras, o se invece inneschi un circuito in grado di riattivare la via di PI3K/AKT, provocando desensibilizzazione alla terapia. Risultati- Tramite diversi approcci sperimentali si è osservato che Capivasertib riduce la vitalità e induce apoptosi in cellule PC3. Inoltre, la fosforilazione dei principali substrati di AKT è quasi completamente abrogata, confermando l’efficacia di Capivasertib nell’inibire l’attività chinasica. Tuttavia, analisi eseguite dopo trattamento cronico, evidenziano un aumento dell’espressione di Ras e del suo effettore Rab5, parallelamente a diminuzione di miR-145-5p.
Conclusione- I risultati ottenuti dimostrano che l’inibizione farmacologica di AKT con Capivasertib è in grado di bloccare la proliferazione cellulare e di indurre apoptosi in cellule PC3 di carcinoma prostatico PTEN-/-. Tuttavia, abbiamo anche osservato che il trattamento prolungato con Capivasertib provoca up-regolazione di Ras a seguito della down-regolazione di miR145-5p. Pertanto, ulteriori studi sono in corso per chiarire in quali condizioni e in che misura l’inibizione farmacologica di AKT con AZD5363 possa indurre desensibilizzazione/resistenza alla terapia sia in vitro che in vivo, e se è possibile identificare caratteristiche molecolari che permettano di suggerire quali pazienti siano sensibili e quali invece più probabilmente svilupperanno resistenza.
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