Riassunto analitico
L'elaborato si propone di indagare l’effettiva portata dello scopo rieducativo della pena. Nella prima parte sono prese in esame le teorie della pena, a partire dalle dottrine abolizioniste. Queste ultime, infatti, hanno l’effetto di ribaltare l’onere della prova: è compito di chi sostiene la legittimità della pena argomentare in questo senso. Per quanto concerne le teorie giustificazionistiche, queste si distinguono principalmente in tre correnti. In primo luogo, le c.d. teorie retributivistiche concepiscono la sanzione penale come fine a sé stessa e l’esistenza di un diritto di punire indipendente da una qualche utilità. Al contrario, le teorie della prevenzione speciale suffragano la capacità della pena di condizionare la condotta del singolo attraverso l’emenda, il carattere terapeutico o differenziato della punizione. Infine, le teorie della prevenzione generale elaborano la sanzione penale come legittima perché concepita per la generalità dei consociati: i cittadini sarebbero orientati culturalmente dal diritto penale ovvero persuasi a non commettere reati grazie all’esemplarità o alla minaccia della sanzione penale. Nel secondo capitolo viene preso in esame il principio della rieducazione come concepito dapprima dal costituente e poi dal giudice costituzionale. Si è cercata di mettere in luce l’evoluzione giurisprudenziale prendendo anche in esame i differenti filoni dottrinali: se in un primo momento la Corte costituzionale sembra accogliere una concezione polifunzionale della pena, sebbene entro la necessità di individuare la funzionalità preminente, si arriva ben presto a valorizzare lo scopo rieducativo e a postularne i suoi effetti. Infatti, dall’art. 27 comma 3° Cost. discendono l’importanza della colpevolezza come elemento del reato, la natura necessariamente progressiva del trattamento e il conseguente divieto di automatismi in materia di esecuzione. Si sono però messi in luce i limiti applicativi al principio di rieducazione: non si può affermare con leggerezza che esso sia compatibile con l’istituto dell’ergastolo, specialmente in un ordinamento che lo concepisce nella forma c.d. ostativa. Infine, nel capitolo conclusivo, si è svolta una ricerca inerente alla prassi applicativa attorno al principio della rieducazione. Prendendo a riferimento i rapporti sulle condizioni di detenzione dell’Associazione Antigone si è condotta un’analisi ragionata dei dati rispetto ai c.d. elementi del trattamento. Questi ultimi sono previsti dall’ordinamento penitenziario e sono gli strumenti indicati dal legislatore come finalizzati al conseguimento della risocializzazione del condannato. Non tutti gli elementi trovano pieno riconoscimento e alcuni di essi sono addirittura limitati nella loro portata, per esigenze di sicurezza, dallo stesso legislatore. La situazione viene ulteriormente peggiorata dal sovraffollamento, elemento che caratterizza gli istituti di reclusione: la mancanza di strutture e, soprattutto, di personale non consentono di mettere in atto percorsi di effettiva risocializzazione e, conseguentemente, di distinguere ove si sia in presenza di un mutato atteggiamento del reo e ove si tratti semplicemente di un’interiorizzazione delle regole al fine di poter giovare della flessibilità della pena imposta dal principio della rieducazione. L’analisi condotta mette in luce la natura illusoria del principio della rieducazione, come pensato dal legislatore e applicato dalla giurisprudenza.
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