Riassunto analitico
Questo elaborato si incentra sulla correlazione tra displacement spaziale e geografico e identità femminile negli ultimi e più controversi romanzi di Frances Burney (1752-1840), Charlotte Brontë (1816-1855) e George Eliot (1819-1880): in particolare, The Wanderer (1814) di Frances Burney, Villette (1853) di Charlotte Brontë e Daniel Deronda (1876) di George Eliot. Il suo obiettivo principale è quello di osservare le forme e i motivi di displacement fisico presenti nei tre romanzi, per dimostrare che tali spostamenti sono dettati dalla condizione femminile delle eroine e che questa ha delle evidenti ripercussioni sullo sviluppo e la formazione della loro identità. L’introduzione presenta sia il concetto di displacement – con i suoi significati differenti, tra cui la sua applicazione agli studi letterari – sia quello di identità in movimento in cui si inserisce la figura della translatable heroine, nonché il contesto storico-letterario della nascita del genere del romanzo e del suo sviluppo successivo fino alle soglie dell’Ottocento. Dopo un cenno biografico per ogni autrice, i capitoli successivi si concentrano sull’analisi delle opere, analizzandone i temi nodali, esplorando soprattutto quelli relativi alle female difficulties che le eroine devono fronteggiare. Non solo tali difficoltà rimandano a una condizione femminile svantaggiosa e discriminata: inoltre, gli spostamenti spaziali e geografici a cui sono sottoposte le eroine di The Wanderer, Villette e Daniel Deronda – Juliet, Lucy e Mirah – comportano necessariamente una rinegoziazione del sé sul piano identitario. L’analisi di queste opere è volta a dimostrare, appunto, che Juliet in The Wanderer, Lucy in Villette e Mirah in Daniel Deronda sono tre figure che, in quanto donne e obbligate a veder mutata la propria situazione iniziale, sono alle prese con una traslazione costante del proprio io, represso o conformato agli standard della società come unica modalità di sopravvivenza. La scelta di questo argomento e delle problematiche ad esso connesse scaturisce dalla mia passione per la letteratura, e non solo. Trovo che la lettura di un romanzo di Jane Austen o di una poesia di Rilke sia tanto affascinante quanto la visione di un quadro di Renoir, l’ascolto di una melodia di Einaudi e tutti quei momenti in cui, con uno sguardo attento alla realtà che mi circonda, riesco a cogliere la bellezza in ciò che mi sta attorno. Tali momenti mi ricordano le epiphanies di cui parla Joyce: una sorta di rivelazioni o attimi di consapevolezza che, andando oltre l’apparenza delle cose, mettono in collegamento il reale con l’io più profondo. In questo modo il soggetto diventa l’oggetto dell’azione, e, in un modesto e personale tentativo di lettura, mi accorgo che sono io stessa ad essere letta, poiché proprio quel romanzo, quella poesia, quel quadro o quella melodia dicono qualcosa della mia persona. Così mi è accaduto – per tornare alla letteratura – prendendo parte alle lezioni di un corso universitario incentrato sulla figura di Jane Austen, con cenni alle scrittrici meno conosciute ma dal talento analogamente eccezionale quali Frances Burney, Charlotte Smith e Mary Brunton, le cui opere hanno segnato il panorama letterario di fine Settecento apportando un notevole contributo al nuovo genere del romanzo. Da qui è nato il desiderio di analizzare il contesto socioculturale tra Sette e Ottocento alla luce di prospettive distintamente femminili. Lo studio dei romanzi su cui si impernia questa ricerca mi ha permesso di indagare la condizione della donna dell’epoca, denunciata dalle tre autrici, sulla base dell’idea di displacement spaziale e geografico, per concludere che gli spostamenti a cui le protagoniste dei romanzi si sottopongono per necessità hanno sempre e inevitabilmente delle ripercussioni sullo sviluppo e la formazione delle loro identità.
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Abstract
The main theme of this dissertation is the correlation between geographical displacement and female identity in the last and most controversial novels of Frances Burney (1752-1840), Charlotte Brontë (1816-1855) and George Eliot (1819-1880): in particular, The Wanderer (1814) by Frances Burney, Villette (1853) by Charlotte Brontë and Daniel Deronda (1876) by George Eliot. Its main objective is to observe the ways physical displacement is presented in these works, arguing that the heroines’ movements are entirely dictated by their female condition, which has clear repercussions on the development and formation of their identities.
The introduction outlines both the concept of displacement – with its different meanings, including its application to literary studies – and that of identity in movement, which includes the figure of the ‘translatable heroine’, as well as the literary and historical context of the birth of the novel as a recognizable genre and its development in its early stages. After a brief biographical and professional sketch of each author, subsequent chapters focus on the analysis of their works, examining the key themes and, above all, those relating to the female difficulties faced by their heroines. Not only do these difficulties refer to a disadvantageous and discriminated female condition; furthermore, the geographical movements to which the heroines of The Wanderer, Villette and Daniel Deronda – Juliet, Lucy and Mirah – are subjected, involve a necessary renegotiation of the self. The analysis of these works is aimed at demonstrating that Juliet in The Wanderer, Lucy in Villette and Mirah in Daniel Deronda are three characters who, as women whose initial situations undergo profound alterations, grapple with a constant translation of the self, which is repressed or has to conform to social standards as their only chance of survival.
The choice of the topic of this dissertation arises from my passion for literature, and not only. I find that reading a novel by Jane Austen or a poem by Rilke is as fascinating as seeing a painting by Renoir, listening to a melody by Einaudi. I am fascinated by all those moments in which, with an attentive look at the surrounding reality, one can grasp the beauty in what is around us. These moments remind me of the epiphany in Joyce: a sort of revelation or moment of awareness which, going beyond the mere appearance of things, connects reality with the deepest self. In this way, the subject becomes the object of the action, and, in a modest and personal attempt at reading, I realize that I am being read, since precisely that novel, that poem, that painting or that melody say something about my person. To return to literature, this is what happened to me in attending the lessons of a university course on the figure of Jane Austen, with nods to lesser-known but equally exceptionally talented writers such as Frances Burney, Charlotte Smith and Mary Brunton, whose works marked the literary panorama of the late eighteenth century by making a notable contribution to the new genre of the novel. I was fascinated by the idea of analyzing the sociocultural context between the eighteenth and nineteenth centuries in the light of distinctly female perspectives. Consequently, the study of the novels on which this research is based has allowed me attentively to investigate the female condition of the time, denounced by the three authors and considered from the perspective of spatial displacement. In conclusion, the geographical and physical displacements experienced by the protagonists of the novels under examination here always have inevitable repercussions on the development and formation of their identities.
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