Riassunto analitico
L'esigenza di un rinnovamento delle politiche e della legislazione del lavoro attuata,
anche, attraverso la diffusione di sottotipi di lavoro coordinato, o di lavoro
subordinato a disciplina differenziata, oltre che dai cultori di diritto del lavoro, viene
percepita anche dalla riflessione sociologica che, già da una decina di anni, avverte
che « una carriera lavorativa unica che copra l'intera esistenza sarà l'eccezione e
non la regola. Nell'arco della propria vita le persone avranno dei periodi di lavoro e
dei periodi di disoccupazione, attività a tempo pieno e attività part-time » (1).
Parlare di instabilità e di lavoro ampiamente flessibile non appare più un tabù. È
peraltro ormai un fatto che il lavoro c.d. tipico copra in misura sempre minore i
nuovi posti di lavoro. Si prende dunque atto di come la variabilità e l'imprevedibilità
dell'impiego siano divenute la norma, cercando, al contempo, vie nuove per
governare simile mutamento di scenario.
Ampliare il ventaglio delle tipologie contrattuali, agevolando le possibilità di
accedere, nella legalità, ad alcune occasioni di lavoro è ciò che in sostanza si è fatto
con il d.lgs. n. 276/2003. Il tentativo di ridurre l'area dei c.d. falsi autonomi tramite
la riforma delle collaborazioni coordinate e continuative, i rigidi limiti al lavoro
occasionale, il contratto di inserimento,ed il qui presente lavoro intermittente,
dovrebbero essere utili « per aumentare il numero di persone che possono avere
una chance lavorativa, uno spezzone di lavoro, un tempo per una attività » (2).
L'idea è dunque quella di creare occupazione anche attraverso una pluralità di
rapporti di lavoro. I nuovi modelli organizzativi flessibili applicati dalle aziende
stimolano, infatti, il sorgere di nuovi modelli di contratto individuale capaci di
introdurre una dimensione spaziale e temporale della prestazione diversa da quella
tradizionale, basata sull'impiego del lavoro a tempo pieno e di durata stabile.
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