Riassunto analitico
Nonostante la positiva evoluzione delle terapie antitumorali degli ultimi decenni, ad oggi il cancro rappresenta ancora una sfida importante. Lo studio, la progettazione e lo sviluppo di nuove molecole sono perciò tuttora fondamentali. Fra i diversi approcci terapeutici, il proteasoma si è rivelato un target farmacologico di rilievo nell’ambito del metabolismo cellulare. Esso è un grande complesso di tipo proteasico (di lisi, ovvero di degradazione proteica), responsabile del mantenimento dell’omeostasi proteica intracellulare. Ha il compito di eliminare le proteine mal ripiegate, “vecchie”, denaturate o erroneamente assemblate, che potrebbero perciò essere tossiche per la cellula. Tutto ciò, avviene grazie all’identificazione/marcatura di questi substrati “sbagliati” da parte di una piccola proteina intracellulare chiamata ubiquitina. Essa si lega alla proteina che dovrà essere degradata in modo che essa possa essere riconosciuta da specifici recettori presenti sulla porzione regolatrice del proteasoma (proteasoma 26S). Le parti regolatrici sono situate all’estremità della porzione centrale denominata “proteasoma 20S”. Quest’ultima risulta formata da due anelli α e due anelli β, ognuno composto da sette subunità. Di queste solo tre hanno attività catalitica, in particolare le subunità β1, β2 e β5, le quali sono affini sia a residui acidi che basici ma anche idrofobici e questo fa sì che possano degradare diversi tipi di substrati proteici. Delle tre subunità, la β5 è quella più studiata perché responsabile della degradazione del maggior numero di proteine. È stato perciò ipotizzato che l’inibizione di questi siti catalitici avrebbe provocato l’accumulo di proteine intracellulari, evento tossico e quindi in grado d’innescare l’apoptosi, ovvero la morte cellulare programmata. Ovviamente le cellule tumorali sarebbero state quelle maggiormente colpite, avendo un’alterata o aumentata attività metabolica, connessa, quindi, ad una maggiore produzione di proteine aberranti. Su queste premesse sono nati i primi inibitori del proteasoma, quali potenziali farmaci antitumorali. Tra questi, tre sono stati autorizzati all’immissione in commercio data l’ottima efficacia manifestata contro le neoplasie del sangue come il mieloma multiplo. Bortezomib (VELCADE) è un inibitore del proteasoma appartenente alla classe dei peptidi boronici, con una spiccata attività sia nei confronti dei tumori ematici che di quelli solidi. È stata, inoltre, la prima molecola autorizzata dall’FDA nel 2003, come monoterapia ma anche in combinazione con altri antitumorali o immunomodulatori. Carfilzomib (KYPROLIS), membro della classe chimica degli epossi-chetoni, è il secondo inibitore ad essere stato autorizzato dall’FDA nel 2012 e ha dimostrato maggiore efficacia e migliore profilo di sicurezza rispetto a Bortezomib. Ixazomib (NINLARO) è un altro boronato peptidico, autorizzato nel 2015 dall’FDA come primo inibitore del proteasoma somministrabile per via orale. Sono stati poi condotti altri studi che hanno permesso di sviluppare altri inibitori come Marizomib, composto naturale della famiglia dei β-lattoni, Oprozomib, un secondo epossi-chetone e Delanzomib, un altro boronato peptidico. Attualmente questi ultimi sono tutti in fase di sperimentazione clinica, sia per tumori solidi che ematici. L’utilizzo di questo tipo di inibitori, però, può portare le cellule tumorali a sviluppare resistenza, come avviene anche per altri farmaci antitumorali. Da qui emerge fortemente la necessità di studiare nuove molecole, ancora più specifiche ed efficaci.
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