Riassunto analitico
La presente tesi indaga le criticità dell'iter giudiziario per i reati di riduzione in schiavitù e tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale. La ricerca, svolta tra giugno 2014 e marzo 2015, ha seguito un approccio metodologico eclettico basato sull'analisi delle sentenze emesse dal 2001 al 2013 dal Tribunale di Bologna, la consultazione di alcuni fascicoli processuali nonché l'osservazione delle udienze tenutesi nel periodo di indagine. Il Tribunale di Bologna è stato eletto a epicentro di un terreno di ricerca che si è esteso negli uffici della Procura Generale della Repubblica, della Direzione Distrettuale Antimafia e degli avvocati con cui si è avuto modo di confrontarci, nonché nelle sedi di alcune associazioni che si occupano di assistenza e protezione sociale per vittime di tratta. A partire dai primi anni Duemila le reti criminali hanno mutato le modalità di sfruttamento e di asservimento, passando da metodi brutali basati su violenze fisiche, stupri di gruppo e segregazione a strategie imperniate su un iniziale consenso e un'apparente contrattazione dei termini dello sfruttamento. In questo quadro i dispositivi di controllo e di assoggettamento agiscono sul sottile coinvolgimento emotivo della “vittima”, sulla condivisione dell'ideologia di sfruttamento e spesso sull'instaurazione di rapporti sentimentali, affettivi e di fiducia tra le parti. Ci siamo dunque chiesti quali siano stati i risvolti epistemologici, operativi e giuridici di questi cambiamenti, prestando attenzione all'identificazione delle vittime di tratta in sede processuale e agli strumenti adottati dalla giurisprudenza per far fronte ai costanti mutamenti dei rapporti di dipendenza personali. I risultati della ricerca sul campo hanno mostrato una diminuzione negli ultimi cinque anni delle sentenze per riduzione in schiavitù e tratta a fini sessuali, nonché una notevole percentuale di assoluzioni. Si è dunque trattato di indagare non solo i cambiamenti fenomenologici e criminologici del sex trafficking, ma anche le rappresentazioni condivise dagli operatori del diritto e la costruzione epistemologica di categorie giuridiche che sottendono l'espressione del potere giudiziario. Dall'excursus storico della normativa internazionale e nazionale emerge che, nonostante le recenti integrazioni, il nucleo definitorio della riduzione in schiavitù risiede nell'esercizio dei diritti di proprietà su un altro essere umano; lo schiavo dunque è ridotto allo statuto di res, oggetto di cui il padrone può disporre a suo piacimento al pari di qualsiasi altra cosa in suo possesso. La rappresentazione dicotomica che contrappone schiavitù e libertà, assoggettamento e autodeterminazione, oppressione e agency non restituisce la scala di grigi che caratterizza i rapporti di dipendenza personale, negando le strategie di resistenza delle prostitute o il contesto violento e oppressivo in cui queste avvengono. La presente ricerca mette in luce prassi di reificazione e vittimizzazione della persona offesa nel contesto della dinamica processuale, focalizzando l'attenzione sull'arena di conflitto che si dispiega attorno alle narrazioni delle parti lese. In particolare abbiamo prestato attenzione alle strategie adottate dalla difesa degli imputati per minarne l'attendibilità e ridurre rapporti di oppressione e dipendenza personale in un orizzonte di relazioni armoniche e paritarie. Il nostro sguardo, pur essendo focalizzato sulle prassi giudiziarie, è contemporaneamente rivolto alle politiche migratorie, sociali e di accoglienza. Le proposte che avanzeremo nelle conclusioni, lungi dall'essere esaustive, tentano di fornire alcuni spunti di riflessione su possibili approcci semantici, metodologici e operativi nella lotta all'assoggettamento servile e para-schiavistico.
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Abstract
This thesis inquires into the critical legal procedure that follows the crimes of slavery and human beings trade for the purpose of sexual exploitation. This research has been conducted from June 2014 to February 2015 and it followed a methodological eclectic approach based upon the analysis of the verdicts issued by the Court of Bologna, the consultation of some processual documents, as long as the direct observation of hearings that have been held during the research period.
The Court of Bologna has become the core for a research field that covers offices of the District Attorney, the District Antimafia Directorate and of the lawyers with whom we had the chance to discuss, together with some associations that deal with the assistance and the social protection of the human trade victims.
Criminal networks have changed their course of action in the last fifteen years as far as exploitation and enslavement are concerned: from the use of barbaric methods such as physical abuse, mass rape and segregation, they are now embracing strategies with initial consent and illusory negotiation of the exploitation at their very basis. Within this particular framework their control and subjugation systems effect on the subtle emotional involvement of the “victim”, on the sharing of the exploitation ideology and often even on sentimental, emotional and trust relationships between the parties.
We wondered about the epistemological, operative and legal implications of those transformations; we have given particular attention to the identification of the human trade victims during trial and to the instruments used by law in order to properly face the continuous changes within the personal dependence relations.
The results of this field research showed a decrease, in the past five years, of the convictions for enslavement and human trade with the purpose of sexual exploitation, combined with a significant number of acquittals for the same crimes.
This work not only inquires into the phenomenological and criminological transformations of the so called sex trafficking but also into the shared representations of the practitioners and into the epistemological construction of juridical categories that guides the expression of the judiciary.
From the historical digression of the international and national law it is clear that, despite the late integrations, the defining core of enslavement is the exercise of property rights on another human being; the slave is reduced to a res status, to being just an object that the owner can use according to his/her own will, together with any other object in his/her possession.
The dichotomous representation which compares the concepts of slavery and freedom, subjection and self-determination, oppression and agency, doesn’t complete the grayscale that characterizes the personal dependence relationships, by denying the resistance actions of the prostitutes or the violent and oppressive context in which they take place.
The current research highlights routine processes of reification and victimization of the offended within the legal procedure; special attention is given to the massive debate which unfolds around the narrations of the injured parties. In particular we have closely observed the strategies adopted by the lawyers of the defendant in order to undermine the credibility of those narrations and to reduce oppression and dependence relationships to harmonious and equal ones.
Our gaze was focused on the legal procedures, but at the same time we have explored the migratory, social and integration policies. The recommendations we will propose in the conclusions are far from being thorough, but they try to enhance further considerations on possible semantic, methodological and political approaches over the course of the fight against the servile and semi-enslaving subjugation.
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