Riassunto analitico
Il seguente lavoro di tesi è volto ad analizzare un ambiente educativo che si colloca ai margini – non solamente fisici – della società: il carcere. “Deve marcire in prigione”. “Bisogna buttare via la chiave”. “Tanto escono subito”. “Questa è la legge italiana: tutela i criminali e punisce le vittime”. Queste sono solo alcune delle frasi più comuni che sentiamo ripetere incessantemente sugli istituti penitenziari e i suoi detenuti. Asserzioni che riflettono pregiudizi, emozioni forti e spesso desiderio di vendetta da parte dei consociati. Pensieri che svelano una mancata conoscenza sulle funzionalità della pena. L’idea diffusa nella collettività è spesso priva delle fondamenta rieducative e risocializzanti sopra alle quali le carceri si ergono a seguito del superamento della logica spietata e segregante che caratterizzava questi ambienti fino agli anni del fascismo. Ciò che manca nel consorzio civile è il pensiero secondo il quale il detenuto viene privato della propria libertà per fruire del diritto alla rieducazione. Rieducazione che ha lo scopo di fornire strumenti ed occasioni che sono spesso mancati nella vita degli internati e che hanno portato quest’ultimi alla commissione del reato. Un concetto sicuramente complesso da instillare in una società dove i doveri sono sempre quelli degli altri e i diritti sono sempre i propri, ma necessario per il progresso umano ed etico di quest’ultima. Talvolta ci si dimentica che anche i ristretti sono persone e che essi stanno già pagando per il danno arrecato alla comunità ad un caro prezzo: la loro libertà. Il male, perciò, non è la valuta corretta per pagare altro male. In questo senso anche la società dovrebbe essere educata a spogliarsi da preconcetti e false credenze per aprirsi, al contrario, verso la convinzione – o quantomeno la speranza – che anche il reo può essere una persona migliore. Data la complessità della tematica, per una migliore articolazione del presente lavoro, il testo è stato organizzato in tre capitoli. Nel primo capitolo, Il carcere. Istituto di prevenzione e pena, si analizzerà in prima battuta l’aspetto giuridico della pena. Si ripercorreranno pertanto le principali tappe della legislazione che ha caratterizzato gli istituti penitenziari fino ad arrivare alla legge del 26 luglio 1975, spartiacque tra un’ormai superata logica repressiva e punitiva e l’attuale logica rieducativa e risocializzante. Si procederà poi ad approfondire l’aspetto sociologico della punizione e quindi il paradigma educativo in tutte le sue potenzialità e criticità. Non mancherà successivamente un affondo nell’aspetto psicologico dell’esperienza di restrizione, causa di deprivazioni e sofferenza che compromettono il benessere degli internati. In seguito, vi sarà un approfondimento su due categorie che popolano il carcere, seppure in forma minoritaria: le donne e i minori. Nel secondo capitolo, L’educazione in carcere, l’oggetto di discussione sarà per l’appunto la rieducazione del condannato ad opera di figure, quali educatori e pedagogisti, disposti a convivere e cooperare con i galeotti per un consapevole ed eventuale rientro in società. Si esaminerà dopodiché l’attività teatrale come strumento terapeutico e pedagogico utile a raggiungere gli obiettivi conclamati. In ultima istanza si disquisirà del dibattuto tema dell’ingresso di internet e delle tecnologie “dietro le sbarre”, argomento rispetto al quale neppure le norme e le pratiche hanno raggiunto un traguardo condiviso. Infine, nel terzo capitolo, L’istruzione in carcere, si offrirà una panoramica sulle vesti di tale opera che non si limita alla semplice trasmissione e acquisizione di informazioni, conoscenze e abilità, quanto più essa si configura come uno spazio extra-moenia che dà la preziosa occasione ai detenuti di conoscere sé stessi e gli altri in un’ottica arricchente e di evoluzione personale.
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