Riassunto analitico
“Io ho quel che ho donato”: è questo uno dei più celebri motti di Gabriele D’Annunzio, inciso sul frontone all’ingresso del Vittoriale. In una prospettiva artistico-letteraria, l’espressione ricorda come l’opera di un autore sia anche il prodotto di una combinazione di influssi eterogenei, spesso provenienti da lontano. Tracciare un profilo completo dello scrittore abruzzese e della sua opera significa, quindi, contestualizzarlo a livello storico e inserirlo in un ampio e complesso scenario, costituito da dialoghi tra diverse tradizioni. Il primo obiettivo di questo lavoro è, pertanto, quello di indagare in che modo la cultura e letteratura inglese hanno influenzato l’opera dannunziana. Quello tra Italia ed Inghilterra, infatti, è da considerarsi uno dei più fecondi rapporti culturali della storia europea, intensificatosi in un momento politicamente, socialmente e culturalmente arduo per l’Italia, ovvero la seconda metà dell’‘800, quando la nazione era alla ricerca di una propria identità e stabilità politica. Le incertezze si riflettevano in una produzione letteraria che non riusciva a stare al passo con quella delle altre tradizioni europee: infatti, se la poesia italiana continuava a costituire un modello da imitare, non era così per il romanzo, che riuscì a farsi spazio nella letteratura nazionale con oltre un secolo di ritardo rispetto alla Gran Bretagna. Il primo capitolo di questo lavoro propone, quindi, un excursus storico-letterario che indaga questi aspetti, al fine di contestualizzare con precisione la nascita del romanzo moderno in Italia e come questo genere trovò un’espressione fortemente innovativa proprio con D’Annunzio. Egli, infatti, fu il creatore di una prosa poetica in cui lingua, suono e ritmo giocano ruoli centrali. A questi risultati D’Annunzio arrivò dopo una lunga stagione di ricerche e di contatti con personalità “multiculturali” che si radunavano nei caffè letterari della Roma Umbertina. Il “pike”, ovvero “luccio”, come Romain Rolland soprannominò lo scrittore per la sua capacità di adattarsi al caleidoscopico contesto in cui visse, seppe attingere a fonti e tradizioni diverse: dal romanzo francese, russo e inglese, all’arte preraffaellita, dalle teorie estetiche di Nietzsche, a quelle di Pater e Wilde. In una cornice di dialoghi tra diverse culture, la traduzione, tradizionalmente considerata un’attività femminile (seppur con qualche contraddizione), gioca un ruolo fondamentale. Per questo motivo, nel secondo e terzo capitolo si vuole indagare la posizione della donna nell’ambito letterario e traduttivo nell’Inghilterra del XIX secolo; si vuole inoltre esplorare la concezione della sessualità nella puritana epoca Vittoriana, quindi la funzione della censura di opere e traduzioni considerate immorali. Riflettere su questi aspetti è necessario per analizzare la ricezione dei romanzi dannunziani nell’Inghilterra di fine ‘800, diffusi attraverso le versioni in lingua inglese di due traduttrici, Kassandra Vivaria e Georgina Harding. Il quarto e quinto capitolo, pertanto, si concentreranno principalmente sullo studio della versione inglese de Il Fuoco (1900), ad opera di Vivaria, e de Il Piacere (1889), di Harding, con qualche riferimento anche alle traduzioni de L’Innocente (1892) e Trionfo della morte (1894). Nel primo caso, ci si focalizzerà sulla resa della lingua, del ritmo e del suono mentre, nel secondo caso, sul processo di auto-censura dei passi più audaci dei capolavori dell’autore. Nonostante due approcci traduttivi sostanzialmente contrastanti (estraniante nel primo caso, addomesticante nel secondo), entrambe contribuirono a diffondere l’opera dannunziana, con il risultato che, nonostante le gravi accuse di plagio e di immoralità, l’autore influenzò, a sua volta, scrittori ed artisti connazionali e stranieri, partendo proprio dalla sua traduttrice Vivaria e la scrittura del suo unico romanzo, Via Lucis (1898).
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Abstract
The inscription on the pediment above the main entrance of the Vittoriale degli Italiani reads: “Io ho quello che ho donato” [I have what I have given]. This is one of Gabriele D’Annunzio’s most famous maxims. From an artistic and literary perspective, this expression reminds us that an author’s oeuvre is also the product of a combination of heterogeneous influences, including many from abroad. Thus, in order to outline a complete profile of the Italian author and his literary production, it is necessary to analyse the historical background and the multifaceted cultural context in which he lived.
The first aim of this work is to investigate the influence of English culture and literature on D’Annunzio’s literary production. As many scholars have noted, Italy and England established one of the most fertile cultural dialogues ever seen in the Western European literary domain. It became more intense in the second half of the nineteenth century, when Italy was struggling to find its own identity and political stability. The nation was going through a difficult time, and political, social and cultural uncertainties were reflected in the literary production of the period, which arguably lagged behind English and French literature in terms of innovation. In fact, by the end of the nineteenth century, Italian poetry was still an important literary model, whereas the novel took longer to find a place in Italian literature, succeeding over a century after Great Britain.
The first chapter of this work presents a historical and literary excursus, exploring the context in which the novel gained a foothold in Italy and found in D’Annunzio one of its most innovative representatives. As a matter of fact, he was the author of a poetic type of prose, in which sounds and rhythm play significant roles. In order to achieve these results, the novelist did extensive research and maintained contact with “multicultural” figures, who gathered in the cafés of Rome. The writer was aptly nicknamed “pike” by Romain Rolland, owing to his ability to adapt himself to the kaleidoscopic context in which he lived, and draw inspiration from several sources: from French, Russian and especially English literature, the Pre-Raphaelite movement, and the aesthetic theories of Friedrich Nietzsche, Walter Pater and Oscar Wilde.
In such a framework of cultural exchanges, translation plays a major part. In view of women’s traditionally crucial contribution to it, the second and third chapters investigate the role of women in the fields of literature and translation in nineteenth-century England, including the general idea of sexuality in the prudish Victoria era and the censorship of works and renditions judged as immoral. Reflections of this kind are necessary, as the purpose of this study is also to analyse how D’Annunzio’s literature was received in fin-de-siècle Great Britain. Therefore, the last two chapters provide an analysis of the English versions of the writer’s major novels produced by two female translators: Kassandra Vivaria and Georgina Harding. The fourth chapter focuses on Vivaria’s version of Il Fuoco (1900) and her rendering of its peculiar narrative style and aural effects - its rhythm and sounds. The fifth chapter concentrates on Harding’s renditions of Il Piacere (1889), L’Innocente (1892) and Trionfo della morte (1894), and on the process of self-censorship applied in the bolder passages of the Italian author’s masterpieces. Although the approaches adopted by the two translators differ (foreignizing in the former case, domesticating in the latter), both definitely contributed to D’Annunzio’s fame. These translations are ultimately significant, because they demonstrate how, in spite of accusations of plagiarism and immorality he was routinely subjected to, D’Annunzio influenced writers and artists from all over the world, starting from his translator Vivaria and her novel Via Lucis (1898).
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