Riassunto analitico
L’articolo 2113 c.c. è la norma chiave dell’ordinamento giuslavoristico, poiché afferma la disuguaglianza che vi è tra le parti del rapporto di lavoro: lavoratore e datore. Tale norma pone dei limiti alla facoltà di disposizione di alcuni diritti del lavoratore, prevedendo tuttavia un’eccezione: conferisce piena validità alle conciliazioni delle controversie in materia di lavoro avvenute nelle c.d. sedi protette. Tra queste, le principali analizzate nel dettaglio da questo elaborato riguardano gli articoli: 185, 410, 411, 412-ter e 412-quater del codice di procedura civile. Proseguendo nella lettura, si esaminano i vari interventi legislativi avvenuti nel corso del tempo, che hanno portato all’attuale disciplina dell’istituto del tentativo di conciliazione. Inizialmente, il tentativo pregiudiziale di conciliazione era previsto come obbligatorio, con gli artt. 430 e ss. c.p.c., successivamente abrogati, i quali prevedevano la denuncia della vertenza da parte del dipendente lavoratore alla propria associazione sindacale di categoria, quale condizione necessaria per l’azione giudiziale. Con l’introduzione dell’art. 1 della legge n. 533/1973 viene introdotto il sistema facoltativo della conciliazione, prevedendo quindi che le parti potessero adire direttamente il Giudice del Lavoro senza il bisogno di esperire preventivamente il tentativo di conciliazione stragiudiziale. Dalla facoltatività si passa nuovamente al tentativo obbligatorio, con gli artt. 36 e ss. del d.lgs. n. 80/1998. Dunque, chi intendeva proporre davanti al Giudice del Lavoro una domanda relativa ai rapporti previsti dall’art. 409 c.p.c. doveva promuovere, anche per il tramite dell’associazione sindacale alla quale aderiva o conferiva mandato, il tentativo di conciliazione presso la commissione nella cui circoscrizione si trovava l’azienda o la dipendenza alla quale il lavoratore è o era addetto al momento dell’estinzione del rapporto. Con l’introduzione del c.d. Collegato lavoro, legge n. 183/2010, si ha un ulteriore ritorno alla facoltatività del tentativo di conciliazione, dal momento che l’esperienza del tentativo obbligatorio introdotto con il d.lgs. n. 80/1998 non aveva portato ai risultati attesi. Con il Collegato lavoro, come si vedrà dalla lettura di questo elaborato, sono state introdotte modifiche agli articoli relativi alle c.d. sedi protette prima citate, ed all’art. 420 c.p.c. relativo alla prima udienza del processo lavoro, quindi conciliazione in sede giudiziale. Questo ritorno alla facoltatività ha tuttavia alcune eccezioni da tenere a mente, ad esempio il caso del tentativo di conciliazione che rimane obbligatorio per i contratti certificati, secondo quanto previsto dall’art. 80, comma 4, del d.lgs. n. 276/2003. Si è analizzata per ultimo l’articolata disciplina del licenziamento individuale nell’ambito del rapporto a tempo indeterminato. In particolare, si fa chiarezza sulla differenza tra i requisiti sostanziali del licenziamento (giusta causa, giustificato motivo, sia soggettivo sia oggettivo) e quelli formali. Nel terzo ed ultimo capitolo si tratterà infatti dell’obbligo per il datore di lavoro, che possiede i requisiti dimensionali di cui all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, di far precedere il licenziamento dall’espletamento del tentativo (obbligatorio) di conciliazione, ex art. 7 l. n. 604/1966 (come modificato dalla l. n. 92/2012). Questo per quanto riguarda i lavoratori assunti prima della famosa data “spartiacque” del 7 marzo 2015, ossia prima dell’introduzione del c.d. contratto a tutele crescenti. Infatti, una delle novità introdotte dal famoso d.lgs.n. 23/2015 è stata l’abrogazione del tentativo obbligatorio di conciliazione nel caso di licenziamento per GMO per gli assunti prima di tale data.
|