Riassunto analitico
Con legge 28 aprile 2014, n. 67, il legislatore ha attuato quella che era destinata, prima facie, ad apparire una riforma epocale nel panorama del processo penale italiano. Infatti, dopo aver abolito il tradizionale istituto della contumacia, ha proceduto a scindere la vecchia figura del contumace in due diverse situazioni: da un lato, l’assente consapevole, contro il quale è consentito di procedere, e, dall’altro lato, l’assente inconsapevole, il cui processo deve essere sospeso. Tale bipartizione viene giustificata dal lodevole intento di conformare la normativa interna ai dettami di Strasburgo in punto di “giusto processo in absentia”, elaborati, fin dalla pronuncia Colozza c. Italia, soprattutto con le note sentenze Sejdovic e Somogyi. Senonché, il legislatore della riforma, preoccupato di non paralizzare oltremodo la pretesa punitiva statale, accanto alla summa divisio di cui sopra, ha introdotto anche una figura di “assente presunto consapevole”, ancorato a degli “indici sintomatici”, talmente malfermi da portare l’interprete a dubitare della loro reale valenza in termini di conoscibilità, non già dell’esistenza di “un procedimento” ma “del processo e della data dell’udienza”. In mancanza di detta conoscenza, sono destinati a scattare alcuni rimedi restitutori (previsti anche nella fase post iudicatum, con l’introduzione della inedita impugnazione straordinaria denominata rescissione), la cui operatività è però subordinata a un onere della prova difficilmente sostenibile sul piano convenzionale. Di contro, se si facesse un ricorso troppo ampio ai rimedi ex post, si avrebbe una duplicazione delle fasi processuali che smentirebbe la portata deflattiva della riforma. Il mutato regime del processo in absentia ha comportato poi la necessità di valutare l’impatto della riforma anche sui “microsistemi processuali”, primo tra tutti sul “microcodice” costituito dal d.lgs. n. 231 del 2001, il cui art. 41 reca ancora la dizione “Contumacia dell’ente”.
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