Riassunto analitico
La disciplina del lavoro nautico si contraddistingue nel panorama giuridico italiano per due fondamentali elementi: l’internazionalità e il carattere pubblicistico, evidente nell’interesse pubblico alla sicurezza della navigazione che pervade tutta la materia. Entrambe le caratteristiche sono dettate dall’unicità della fattispecie, derivante dalle condizioni tecniche della navigazione marittima. Proprio la peculiarità del tipo di rapporto fa sì che esso sia sottoposto anzitutto alle norme del diritto della navigazione, e non a quelle del diritto civile come i contratti di lavoro subordinati “tradizionali”, e che preveda talvolta istituti inesistenti nel lavoro comune. Tuttavia, nella’attività legislativa italiana degli ultimi anni, domina la tendenza all’avvicinamento tra il lavoro “comune” e quello nautico. Molti istituti applicati ai marittimi sono stati nel tempo riconosciuti come discriminatori, e per questo abrogati; è il caso del licenziamento ad nutum, valido per la gente di mare fino al 1976, anno in cui la Corte costituzionale provvide a dichiararlo incostituzionale e, di conseguenza, non più applicabile. A testimonianza del processo di equiparazione effettiva tra lavoro marittimo e lavoro comune si può considerare la questione della Cassa integrazione: la gente di mare è esclusa dal suo intervento, ma dal 2014 può usufruire del Fondo Solimare, un fondo di solidarietà bilaterale per il settore, che assicura ai dipendenti delle imprese armatoriali una tutela salariale in casi di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa per le cause previste per la cassa integrazione ordinaria e straordinaria. In generale, si può affermare che dal punto di vista retributivo, economico e previdenziale, il lavoratore nautico italiano sia oggi soggetto ad una disciplina favorevole, che ne tutela solidamente i diritti. Ciò vale anche per la sicurezza e le condizioni di vita a bordo, aspetti disciplinati in modo scrupoloso dalle convenzioni internazionali, in particolare dall’ILO Maritime Labour Conference di Ginevra del 2006. Se da un punto di vista normativo il marittimo italiano gode di un buon trattamento – o, a ben vedere, proprio per questo motivo – sul mercato del lavoro globale e nazionale ha difficoltà a rimanere competitivo. Il Codice della navigazione, all’articolo 318, prevedeva solo in via eccezionale, e per deroga ministeriale, la presenza di stranieri tra il personale di bassa forza e comunque in numero contenuto. A partire dalla legge 30 del 1998, invece, è stato avviato un processo di progressiva liberalizzazione sulla nazionalità degli equipaggi delle navi operanti tratte internazionali, permettendo agli armatori italiane di imbarcare marittimi extracomunitari anche tra gli ufficiali. Il costo del lavoro del personale comunitario – che rappresenta il 40% degli occupati del settore e tende ad accettare salari inferiori - è decisamente più basso di quello da sostenere per il personale italiano; scarto, questo, che sempre più spesso determina una preferenza nell’assunzione per i lavoratori non comunitari. Per rilanciare l’occupazione dei marittimi italiani, le principali associazioni del settore hanno cercato il sostegno della politica e, soprattutto, si sono impegnate affinché gli enti di formazione adottassero nuovi strumenti didattici aggiornati e di qualità, con l’obiettivo di attrarre i giovani alla carriera in mare e di formare marittimi qualificati ed efficienti, in grado di competere sul mercato internazionale grazie alla loro preparazione ed esperienza.
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