Riassunto analitico
I rapporti collettivi di lavoro costituiscono una materia resistente all’influenza del diritto comunitario, anche nelle forme più blande. Il motivo di fondo consiste nella marcata eterogeneità dei vari ordinamenti collettivi europei. La consapevolezza di tali difficoltà e delle diversità dei sistemi nazionali ha indotto la Comunità europea a limitare alquanto l’intervento nei rapporti collettivi. La contrattazione collettiva può rientrare come tale nel concetto di “rappresentanza e difesa collettiva degli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro”. L’organizzazione delle imprese e dei lavoratori in forme rappresentative, sindacati e associazioni imprenditoriali, per la difesa degli interessi comuni è una caratteristica delle relazioni di lavoro in ogni Paese europeo. Ma al di là di tale carattere comune restano profonde differenze, nel tipo e nei gradi di sindacalizzazione, nelle tradizioni ideologiche e nelle pratiche rivendicative contrattuali, specie da parte delle rappresentanze dei lavoratori. Questo ha contribuito ad ostacolare, insieme a fattori strutturali, come la crescita della concorrenza internazionale, la formazione di rappresentanze sindacali europee, dotate di autorevolezza e consistenza sufficienti ad agire efficacemente sul piano comunitario. Il presente contributo si propone di esaminare l’evoluzione del dialogo sociale e della contrattazione collettiva a livello europeo, ripercorrendone le tappe fondamentali: dal processo di Val Duchesse all’Atto Unico europeo, al Trattato di Maastricht, al Trattato di Amsterdam fino alla strategia di Lisbona 2020. Il dialogo sociale, infatti, rappresenta un fattore fondamentale dell’integrazione comunitaria, non limitata al settore della politica sociale: nel corso degli anni si è passati da forme di mera consultazione delle parti sociali, a forme di cooperazione, fino al riconoscimento delle parti stesse come soggetti abilitati a stipulare accordi efficaci. Una vera e propria svolta nella rilevanza istituzionale della contrattazione si è realizzata con il Protocollo sociale di Maastricht che ha dato particolare rilievo all’attività collettiva delle parti sociali; in tempi più recenti il Trattato di Lisbona ha ulteriormente valorizzato il ruolo degli attori collettivi, stabilendo che “l’Unione riconosce e promuove il ruolo delle parti sociali al suo livello, tenendo conto della diversità dei sistemi nazionali. Essa facilita il dialogo tra le parti, nel rispetto della loro autonomia”. Il ruolo delle parti sociali a livello dell’Unione europea può essere declinato in due accezioni: da un lato, e prevalentemente, queste sono coinvolte in un’attività costituzionale in base alla quale partecipano, su sollecitazione della Commissione, alla definizione delle misure che l’Unione deve adottare nel settore della politica sociale (contrattazione indotta e rinforzata e contrattazione libera). Dall’altro lato, il dialogo sociale europeo ha condotto anche alla produzione di testi di nuova generazione, caratterizzati da un progressivo affrancamento dall’attività svolta dalla Commissione europea (contrattazione volontaria e autonoma). La più diffusa forma di dialogo autonomo è rappresentata dalla negoziazione collettiva svolta a livello di impresa transnazionale, destinataria della Direttiva 94/45/CE sui Comitati aziendali europei che disciplinano alcune condizioni di lavoro in modo uniforme nei diversi Paesi in cui l’impresa è situata. Nell’ultima parte del lavoro l’interesse si rivolge verso le tecniche di regolazione e la struttura delle relazioni industriali di un ordinamento di common law, quello inglese, nonché sulla funzione della contrattazione nell’ordinamento italiano di civil law, facendo uso del metodo comparato cercando di evidenziare le differenze funzionali tra gli istituti degli ordinamenti analizzati.
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