Riassunto analitico
L’impiego dell’idrogeno come vettore energetico viene considerato da diversi decenni come un possibile modo per ridurre le emissioni globali di gas serra. Tuttavia, ci sono ancora due aspetti che ostacolano la diffusione delle tecnologie basate sull’idrogeno. Il primo è la produzione dell’idrogeno, che avviene prevalentemente a partire da combustibili fossili tramite reazioni di SMR. L’idrogeno così ottenuto deve essere successivamente trattato a causa della presenza di ossidi di carbonio fra i prodotti di reazione. Il secondo ostacolo è legato alla bassa densità volumetrica dell’idrogeno. Tale limite è rilevante per l’applicazione dell’idrogeno in ambito automotive: a parità di energia necessaria da immagazzinare, l’idrogeno richiederebbe serbatoi di volume molto maggiore di quelli richiesti per i combustibili attualmente diffusi. Un modo per aumentare la densità volumetrica dell’idrogeno è la compressione. Nella maggior parte delle applicazioni sono richieste pressioni elevate, in genere 700 bar. Al momento, per raggiungere tali valori sono largamente impiegati i compressori meccanici anche se diverse problematiche sono emerse nel corso degli anni ed è sorta la necessità di studiare sistemi alternativi. Fra di questi, di particolare interesse sono i compressori elettrochimici (Electrochemical Hydrogen Compression, EHC). L’EHC è una macchina elettrochimica il cui funzionamento è simile a quello delle fuel cells. Non prevede componenti in movimento relativo fra loro, quindi non è rumorosa e non richiede lubrificanti, a differenza del compressore meccanico. Inoltre, grazie alla membrana polimerica, l’EHC permette di operare un filtraggio delle sostanze contaminanti (come gli ossidi di carbonio) consentendo di ottenere all’uscita della macchina delle miscele di idrogeno con grande purezza. In letteratura sono stati presentati diversi studi che hanno descritto il funzionamento del compressore elettrochimico. Per studiare l’efficienza della macchina quando opera in regime stazionario si è impiegato un modello 0D, realizzato all’interno di uno script MATLAB®. L’efficienza dell’EHC, in accordo a quanto proposto in letteratura, è il prodotto di due termini: il primo è l’efficienza del voltaggio di cella (tiene conto dei sovrapotenziali e delle perdite di voltaggio) e il secondo è l’efficienza di flusso (tiene contro dei flussi di retrodiffusione e delle perdite in massa dell’idrogeno). Dall’analisi effettuata è emerso come la macchina lavori alle massime efficienze per bassi rapporti di compressione e basse densità di corrente. Inoltre, si è osservato che per applicazioni in cui il flusso di idrogeno richiesto sia elevato, i design che prevedono un basso numero di celle collegate in serie, membrane poco spesse ed alte temperature sono preferibili ai design che prevedono un numero maggiore di celle, membrane spesse e basse temperature. Per lo studio del funzionamento in regime transitorio si è ricorso ad un modello 3D-CFD. Il modello realizzato è stato validato in funzione delle curve di polarizzazione presentate in letteratura. Al suo interno sono stati implementati i principali fenomeni che caratterizzano il funzionamento di una cella elettrolitica, come le reazioni elettrochimiche o il flusso di idrogeno a pressione ambiente entrante nella cella attraverso l’anodo. Le simulazioni sono state effettuate considerando il caso di funzionamento della cella a potenziale costante. Questa strategia di modellazione consente di studiare la distribuzione della corrente nella cella, la diffusione delle specie chimiche all’interno dei mezzi porosi e i tempi necessari al raggiungimento del regime stazionario in un’unica analisi.
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