Riassunto analitico
Il tema della fine del mondo, intesa come la fine dell’essere umano, del pianeta su cui vive e con esso di tutta la collettività, accompagna da sempre l’uomo, che infatti convive con la paura dell’apocalisse fin dalle sue origini. È questo un tema ampio, che fonde in sé molteplici interpretazioni, argomenti e riporta ad una pluralità di immagini e quadri, che non vanno semplicemente confinati a profezie e scenari apocalittici ambientati in un futuro lontano. Ma vedremo come, invece, faccia da sempre, concretamente parte della vita del l’uomo, che in origine incorporava la fine del mondo nella propria vita sociale per poter agire e non farsi sopraffare e oggi se ne fa invece promulgatore. Ernesto de Martino, nei suoi studi, non ha trascurato questo tema dalle sembianze sconfinate. Nel suo libro La fine del mondo e in molte altre sue opere, egli analizza le apocalissi culturali, le crisi che ne derivano e il riscatto attuato dalle istituzioni sociali. Con lui osserviamo come nel mondo magico questa paura della fine venga esorcizzata incorporando l’eterno ritorno nel simbolismo mitico-rituale, con la funzione di allontanare, curare dalla perdita della presenza che attanaglia e accompagna l’uomo antico. Successivamente, sempre seguendo gli studi di de Martino, passeremo ad analizzare i cambiamenti apportati dal cristianesimo, il modo in cui questo con il suo avvento abbia comportato una crisi decisiva degli istituti magici, e come le pratiche pagane vengano sostituite dai riti religiosi fondati sulla morte e la resurrezione del Cristo: si assiste così a quello che l’autore considera un mutamento di maschera, una maschera che permette, ancora una volta, di occultare il divenire imprevedibile della storicità che ancora crea angoscia nell’uomo. Oggi, l’idea di apocalisse (anche se di idea non si può più parlare) si profila incombente e molto più grave della sua nozione nei popoli magici. A tale proposito, un autore contemporaneo e citato da de Martino, Günther Anders effettua una cruda lettura della fine del mondo e dell’umanità per cui non vede futuro. Per Anders, nel corso del ventesimo secolo due eventi in particolare segnano un punto di non ritorno nella storia dell’uomo e della terra: durante la seconda guerra mondiale, con i campi di concentramento, assistiamo ad una pianificazione razionale dello sterminio di uomini da parte di altri uomini; qualche anno dopo, con la bomba atomica, ancora una volta, scienza e tecnica vengono utilizzate per scopi mortali dalle conseguenze inimmaginabili. Con la nascita di questo secolo, contemporaneamente, assistiamo allo sviluppo di ulteriori minacce insidiose e incontrollabili come l’inquinamento, la scarsità di risorse e i cambiamenti climatici che portano la terra a mostrarci, sottoforma di catastrofi naturali, il suo rantolio, il suo respiro rumoroso che ci segnale le sue ultime ore di vita. Tutto questo porta i segni della profonda ambivalenza fra la paura della fine, che storicamente perseguita l’uomo, e la partecipazione di quest’ultimo alla sua stessa distruzione. L’uomo sembra infatti agire senza una reale percezione delle proprie azioni e sembra non avvertire la potenza della tecnologia moderna, di tutto ciò a cui ha dato vita e che ormai sembra aver preso il sopravvento sul proprio creatore.
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