Riassunto analitico
Con l’avvento del mondo digitale e con le prime imprese basate soltanto su business digitali, sono sorte diverse anomalie nel sistema economico mondiale: per la prima volta era possibile offrire un prodotto-servizio a persone dall’altro capo del mondo senza dover per forza spostare capitali e risorse in un’altra nazione. La gran parte delle imprese che operano su Internet hanno base nella Silicon Valley in California (si pensi alla base di Apple Inc. a Palo Alto o a Facebook Inc. con sede a Menlo Park oppure ancora al quartier generale di Google LLC a Mountain View) oppure in un altro degli Stati Uniti d’America (nello stato di Washington sono dislocate sia Microsoft Corp., a Redmond, sia Amazon.com Inc., a Seattle). Queste imprese non solo governano un enorme flusso di denaro e merci, sotto forma di beni o servizi, ma sono detentori anche dei nostri dati sensibili, tracciati grazie ad algoritmi e policy non sempre a tutela dell’utente finale. Il mercato digitale di queste ed altre imprese si sostanzia nella vendita di beni materiali o nella cessione di spazi pubblicitari nei loro servizi digitali. In ogni nazione del mondo essi pagano le tasse della rispettiva filiale: vi è tuttavia un sottile meccanismo - legale - che permette loro di aggirare le norme e la tassazione vigente pagando il conto sui loro utili presso la loro sede fiscale, anziché presso la sede dislocata nella nazione in cui operano. È peraltro in Europa che questo meccanismo è più accentuato: le quattro libertà fondamentali, sorte e perfezionate grazie ai trattati e agli accordi tra i membri dell’Unione Europea, permettono infatti il libero scambio di merci e capitali, nonché la libertà di sede delle imprese all’interno dei Paesi membri. La combinazione di queste libertà ha permesso che i colossi digitali abbiano eluso la fiscalità degli Stati membri a danno del Tesoro – e di conseguenza della fiscalità generale. Per ovviare a queste continue elusioni del fisco, lo Stato italiano dal 2013 ha cercato di normare la tassazione dei colossi digitali con proposte dall’esito alterno, sotto il nome giornalistico di “web tax”; tuttavia i critici di questa tassa sostengono che contravviene alle su citate norme europee. La presente tesi mira a comprendere il meccanismo con cui opererà la “proposta Mucchetti” inserita nell’attuale legge di Bilancio, nonché la storia delle proposte di legge avanzate per giungere a questo traguardo. Si guarderà inoltre come altri stati nel mondo – India, Australia e Regno Unito – hanno affrontato il problema per carpirne gli aspetti specifici. Infine sarà elaborata una proposta europea, non prima di aver parlato con chi ha il potere di decidere in tal senso o può dare un suo vivo contributo alla definizione di una norma equa e giusta. Le fonti da cui la tesi prende piede sono in gran parte primarie: non solo alla base delle ricerche vi sono le leggi promulgate in materia, ma per comprendere meglio tema e intenti propositori verranno anche intervistati l’On. Boccia, presidente della 5a Commissione Permanente della Camera dei Deputati della XVII Legislatura, e l’On. Lara Comi, membro del Parlamento Europeo dell’VIII Legislatura e membro in rappresentanza dell’Italia per il gruppo parlamentare del Partito Popolare Europeo nella Commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori.
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