Riassunto analitico
La mobilità rappresenta per le pubbliche amministrazioni uno strumento di programmazione e gestione del personale in grado di accrescerne l'efficienza, razionalizzare il costo del lavoro pubblico, realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane. La privatizzazione della disciplina del pubblico impiego ha indotto il legislatore ad introdurre nell'ordinamento un complesso di norme in grado di consentire alle amministrazioni di affrontare gli aspetti inerenti il personale perseguendo un'efficiente allocazione ed utilizzo delle risorse disponibili nel settore pubblico. Al fine di favorire tali processi, la mobilità dei lavoratori ha acquisito un ruolo fondamentale nei processi di riforma, in quanto è in grado di conciliare una corretta distribuzione organizzativa delle risorse umane e finanziarie degli enti pubblici con la duplice esigenza di una riduzione della spesa pubblica complessiva e di una adeguata redistribuzione dei lavoratori già in servizio, anche attraverso percorsi formativi volti a valorizzarne professionalità e competenze. In questa prospettiva, tale istituto non è perciò previsto solo per soddisfare le esigenze dei singoli lavoratori: la normativa vigente, oltre a regolare le differenti tipologie di trasferimento del personale connesse a manifestazioni di volontarietà dei lavoratori, disciplina anche i casi in cui la mobilità è connessa alle esigenze delle amministrazioni. Nel pubblico impiego l'espressione mobilità si riferisce, infatti, a diverse fattispecie, individuate negli artt. 30 e seguenti del D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165. A comporre il dato complessivo della mobilità, concorrono due tipologie principali: la mobilità permanente, il cui trasferimento del lavoratore avviene in via definitiva, e la mobilità temporanea, che si realizza attraverso i diversi istituti del comando, del distacco e del fuori ruolo. La mobilità permanente si suddivide poi in due ulteriori categorie: la mobilità volontaria, nella quale è il dipendente a chiedere il trasferimento, e la mobilità imposta dall'amministrazione, nella quale il trasferimento avviene per motivi oggettivi. Entrambi gli istituti sono stati interessati negli ultimi anni da vari interventi legislativi. Le critiche rivolte in generale all'utilizzo della mobilità e alla sua reale efficacia sono state però numerose. Tale istituto è quasi esclusivamente al servizio dei dipendenti e non delle amministrazioni, le quali non sono mai riuscite a farne uno strumento di gestione e reclutamento delle professionalità necessarie, potendo in tal modo limitare anche il ricorso ad incarichi esterni. Questo uso della mobilità ha portato ad una cattiva distribuzione del personale pubblico sul territorio nazionale. Occorre pertanto invertire tale tendenza, per far diventare la mobilità uno strumento del datore di lavoro e non solo del lavoratore. Questo consentirebbe di distribuire in modo più razionale i lavoratori valorizzando e premiando i più meritevoli. Per fare ciò è però necessario superare le rigidità normative e le barriere contrattuali presenti per accedere ad un'altra amministrazione, e bisogna inoltre superare le asimmetrie informative, facendo incontrare meglio domanda e offerta di lavoro. I problemi e le criticità legate a questo strumento risultano pertanto numerosi e variegati, e necessitano di essere esaminati nel dettaglio anche con le organizzazioni sindacali affinché il pubblico impiego diventi meno costoso e più produttivo. Tuttavia, se si prescinde da una ridefinizione dei criteri che regolano l'ingresso nel pubblico impiego e soprattutto la valorizzazione del dipendente pubblico attraverso meccanismi e opportunità di crescita professionale, si rischia di non portare a termine il processo di cambiamento delle pubbliche amministrazioni verso un miglioramento della loro efficienza.
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