Riassunto analitico
Lo scopo di questo studio è stato quello di andare a definire un indice di flessibilità della supply chain costituita tra le filiali commerciali della rete di un'azienda con le sedi produttive. In particolare, lo studio è stato customizzato sulla supply chain di Brevini Power Transmission S.p.A. (BPT). In tal caso, il mercato da soddisfare risulta essere internazionale e le sedi produttive sono attualmente dislocate tre in Europa e una negli Stati Uniti d'America. Il polo logistico reggiano è costituito da un sito produttivo la cui capacità produttiva è superiore rispetto agli altri siti europei e statunitensi, ma tale risorsa potrebbe rendere l'attore a monte della catena meno flessibile degli altri. Il mio interesse è stato quello di andare a verificare se il mix della produzione del prodotto, ovvero quella percentuale di domanda di mercato di una determinata filiale commerciale assegnata ad un determinato sito produttivo, fosse vantaggioso per il cliente stesso considerando varie variabili come il lead time richiesto dal cliente per la consegna dell'ordine, il costo del prodotto per ogni sito produttivo, il tempo di trasferimento della merce, la soddisfazione del cliente e la puntualità nelle consegne. Il primo passo è stato quello di analizzare la letteratura di riferimento inerente alla flessibilità nella supply chain. Vi sono numerosi studi in merito. In totale si possono definire tredici tipologie di flessibilità tra cui la sourcing flexibility caratterizzabile dalle quattro dimensioni: capacità di configurare la supply chain, capacità di adattasi alle richieste del mercato, integrazione della supply chain e capacità di aumentare la reattività del fornitore. Quest'ultimo è stato l'argomento meno diffuso in letteratura, ma che risulta essere il più idoneo allo studio intrapreso. Tra gli autori che si sono interessati, il modello che si avvicina maggiormente per i parametri a disposizione, è quello proposto da Das&Abdel-Malek (2003). Infatti nella realtà considerata di BPT, oggetto dello studio, si ha un'unica gamma di prodotto che risulta altamente personalizzabile in base alla esigenze del cliente. Ciò implica un assemblaggio modulare in base alla configurazione richiesta, i tempi di consegna risultano essere più lunghi di quelli che spesso le filiali commerciali vorrebbero comunicare, sollecitando spesso una maggior comunicazione tra le due parti. Attualmente, l'idea dell'azienda è quella che il polo logistico emiliano debba soddisfare la maggior parte degli ordini consegnandoli in tempi superiori agli altri siti produttivi, avendo però un prezzo di vendita inferiore. Questo implica servire il prodotto al cliente finale in tempi più lunghi e con un livello di servizio inferiore, non massimizzando tassi di performance come la flessibilità, on time delivery e customer request satisfation o minimizzando i tempi di trasferimento della merce. Cosa accadrebbe se gli altri tre siti produttivi servissero una fetta maggiore di mercato dando più importanza alla flessibilità e agli altri indicatori di performance? Il percorso ha intrapreso la strada di andare a studiare l’indice di flessibilità, dal quale ha trovato due opzioni principali: una avente solo un limite inferiore inerente ai quantitativi ordinabili dal cliente, il secondo avente un limite anche superiore. A tali analisi ho collegato anche l’eventuale costo di approvvigionamento che si potrebbe applicare secondo gli indici di flessibilità. Successivamente ho verificato se una nuova polita, quella delle mancate vendite, potesse essere un metodologia applicabile al problema. Dai risultati ottenuti si è dimostrato che quest’ultima risultava peggiore rispetto alla situazione attuale e quindi scartata. L'ultima opzione è stata quella di ridisegnare il mix produttivo secondo la tecnica del risolutore, tecnica che considera i parametri del costo e dei tassi di performance precedentemente menzionati.
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