Riassunto analitico
Oggetto del presente lavoro è il regime fiscale dell’impresa familiare, istituto introdotto nel nostro ordinamento dalla legge 19 maggio 1975 n. 151 di riforma del diritto di famiglia, con l’obiettivo di fornire una tutela minima e inderogabile alle attività lavorative che si svolgono negli aggregati familiari. Prima di affrontarne gli aspetti tributari, la materia in oggetto richiede una trattazione dal punto di vista civilistico, al fine di meglio comprendere la scelta adottata dal legislatore fiscale di imputare per trasparenza ai collaboratori gli utili dell’impresa familiare, alla stregua di quanto previsto per le società di persone. Il primo capitolo, pertanto, riassume gli aspetti civilistici dell’istituto in questione, regolato dall’art. 230-bis del codice civile. Quest’ultimo attribuisce ai familiari una serie di diritti di natura sia amministrativa che patrimoniale. In particolare, i primi fanno riferimento al diritto del collaboratore di partecipare alle decisioni straordinarie dell’impresa e al diritto di prelazione sull’azienda; i secondi sono rappresentati dal diritto al mantenimento, commisurato alla «condizione patrimoniale della famiglia» e dal diritto alla partecipazione agli utili dell’impresa, commisurata alla «quantità e qualità del lavoro prestato». Nonostante l’attribuzione ai familiari di rilevanti poteri amministrativi e di gestione, l’impresa familiare ha natura individuale e proprio la peculiare natura dell’istituto in questione ha fatto sorgere una serie di dubbi e dibattiti, riguardanti, ad esempio, la collocazione dell’art. 5, comma 4, del TUIR nell’ambito dei “redditi prodotti in forma associata”. Tale questione è affrontata nel secondo capitolo, dedicato alla disciplina fiscale dell’impresa familiare, la quale prevede la possibilità per l’imprenditore familiare di imputare il reddito prodotto ai familiari che abbiano prestato la loro attività di lavoro nell’impresa in modo continuativo e prevalente, proporzionalmente alla loro quota di partecipazione agli utili. È evidente il risparmio fiscale che si ottiene in tal modo ai fini IRPEF e proprio al fine di evitare comportamenti elusivi volti ad aggirare il principio della progressività dell’imposta, l’art. 5, comma 4, del TUIR prevede delle specifiche condizioni per poter accedere alla disciplina fiscale dell’impresa familiare e il limite massimo del 49% del reddito imputabile ai familiari. L’impostazione dell’istituto mediante un modello “collaborativo” e non associativo ha generato, inoltre, un complesso di rapporti di debito/credito tra il titolare dell'impresa e i familiari di difficile valutazione dal punto di vista fiscale, soprattutto nelle fasi “straordinarie” della vita dell’impresa familiare, quali l’uscita di un collaboratore familiare o la circolazione dell’azienda per effetto di cessioni e conferimenti. Tali problematiche sono affrontate nel terzo capitolo, pure dedicato al problema del coordinamento tra l’art. 5, comma 4, del TUIR e l’art. 230-ter del codice civile, introdotto dalla c.d. “Legge Cirinnà” con la quale sono state riconosciute per la prima volta altre forme di famiglia diverse da quelle fondate sul matrimonio, quali le unioni civili tra persone dello stesso sesso e le convivenze di fatto.
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