Riassunto analitico
L’articolo 2094 c.c. definisce il prestatore di lavoro come colui che “si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto direzione dell’imprenditore”. Le norme applicabili ai lavoratori subordinati sono contenute nel contratto di lavoro e, quindi, si applicano tutte le leggi previste dal Codice civile in materia di contratti in generale e quelle previste dalla normativa specifica dei rapporti di lavoro. Quando però, l’azienda versa in una situazione di crisi o insolvenza, sorge il problema della tutela dell’occupazione. In tale ambito, oltre al diritto del lavoro, opera anche il diritto fallimentare. Entrambi i diritti costituiscono ordinamenti “speciali”, o meglio “eccezionali”, essendo regolati da principi base che, per conseguire lo scopo della disciplina stessa, derogano alle norme fondamentali di diritto privato . Il diritto del lavoro ha come principio cardine quello della tutela dei lavoratori, mentre il diritto fallimentare segue il principio del par condicio creditum e, pur mantenendo un interesse autonomo, i due ordinamenti dialogando tra loro, operano congiuntamente nella trattazione della materia della tutela dei lavoratori, nel caso di imprese sottoposte a procedure concorsuali, attraverso un articolato e complesso sistema normativo. Sono state diverse le modifiche che hanno interessato l’intera materia, così da rendere necessario riconsiderare l’intero impianto normativo. La disciplina del Regio Decreto del 1942 conferiva alla procedura fallimentare una funzione meramente sanzionatoria e afflittiva, che si traduceva spesso in un’estromissione ed eliminazione del tessuto economico e sociale dell’impresa, incapace di soddisfare le pretese dei creditori. In seguito al ridimensionamento dell’intero impianto normativo, si può affermare che, oggi l’obiettivo principale è quello di salvare le imprese, o cercare di liquidarle senza che venga disperso il loro valore di avviamento. L’ultimo intervento in materia ha visto l’introduzione del nuovo ‘Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza’, introducendo un nuovo impianto normativo che ha rimodernato il diritto delle procedure concorsuali, eliminando in primis il termine “fallimento”, che è stato sostituito con la locuzione “liquidazione giudiziale”. L’attuale D.Lgs. n. 14/2019 contenuto nella Sezione V del Titolo V, attraverso gli articoli 191 e 368, ha apportato delle modifiche rilevanti nella materia in esame, precedentemente disciplinata dall’art. 47 della l.n. 428/1990. È stato introdotto un nuovo sistema di norme chiaro ed organico, che ha colmato alcune lacune importanti emerse nel corso degli anni, che hanno portato la Corte di Giustizia europea ad intervenire diverse volte, modificando l’ottica da semplice gestione della crisi a prevenzione. Oggi la liquidazione giudiziale non è più l’unica conseguenza alla crisi d’impresa, in quanto si cerca sempre di più di ricorrere a soluzioni alternative, come l’esercizio provvisorio o l’affitto d’azienda, per favorire la prosecuzione dell’attività d’impresa, assicurando il mantenimento dei livelli occupazionali. L’obiettivo di questo elaborato è quello mostrare come si è evoluta negli anni l’ottica del legislatore, studiando i vari interventi normativi che si sono susseguiti in materia di tutela del lavoro e dell’occupazione, fino ad arrivare ad oggi dove, grazie al nuovo ‘Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza’, il diritto del lavoro si è emancipato dalla visione ristretta della legge fallimentare del 1942, nella quale non veniva data molta importanza alle problematiche giuslavoristiche, ma che piuttosto venivano riduttivamente costrette nei limiti della disciplina di uno dei diversi contratti in corso.
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