Riassunto analitico
Le novità introdotte in termini di reinserimento e risocializzazione dei soggetti in esecuzione di pena saranno al centro della presente dissertazione, con particolare attenzione ai benefici da queste prodotte soprattutto nei riguardi delle madri con figli minori al seguito. L’excursus storico che verrà avviato sul sistema penitenziario, partendo dalle origini sino ai giorni odierni, aiuterà ad acquisire chiara visione di come, nel corso dei secoli, la pena sia stata concretamente oggetto di innumerevoli cambiamenti, passando da una funzione punitiva ad una propriamente rieducativa. L’idea di dar vita ad istituzioni totalizzanti, quali appunto le carceri, è nata dal momento in cui si è iniziati ad avvertire l’esigenza di allontanare dalla società tutti coloro riconosciuti come pericolosi per la collettività. Solo con l’entrata in vigore della Riforma dell’Ordinamento Penitenziario (Legge n. 354/1975 e successive modifiche) si è potuto iniziare a parlare di Misure alternative alla detenzione, tese ad offrire ai condannati la possibilità di scontare la propria pena al di fuori delle mura carcerarie promuovendo, nel contempo, un vero e proprio processo di de-carcerizzazione. Trattasi di “modalità nuove di punire”, i cui principi si pongono in netta contrapposizione rispetto a quelli su cui poggia la tradizionale condanna, quest’ultima, come risaputo, atta a privare i detenuti della loro libertà. Si parlerà altresì di criminalità femminile, fortemente intrecciata con le vicende riguardanti il ruolo sociale assunto dalle donne nel corso delle varie epoche storiche e al modo in cui le stesse hanno, di fatto, vissuto le loro mansioni nel contesto detentivo. Ed è proprio partendo da questo aspetto che si porrà l’accento anche sulla condizione della maternità vissuta oggigiorno all’interno degli istituti di pena, fenomeno riconducibile agli innegabili mutamenti sociali, politici ed economici che hanno, negli ultimi anni, interessato il contesto nazionale. Una condizione, questa, che sembrerebbe aggravarsi ulteriormente qualora la detenuta risulti essere anche madre, soprattutto per via del rapporto spesso “anomalo” che si viene, in genere, ad instaurare nella diade all’interno delle mura carcerarie, limitando la stessa nell’esercizio del proprio ruolo genitoriale. Comprensibile, pertanto, data la delicatezza della situazione, la necessità di attivare apposite misure alternative per detenute-madri con figli al seguito: ci si riferisce, nello specifico, agli Istituti a Custodia Attenuata (ICAM) e alle Case famiglia protette, ambedue nate con l’obiettivo di migliorare quanto più possibile la vita dei bambini all’interno del circuito penitenziario, fermo restando che persistano tutte le condizioni necessarie affinché le detenute medesime possano essere ammesse a percorsi di detenzione extramuraria. Percorsi, questi, il cui fine principe dovrà essere quello di risocializzare il/la detenuto/a attraverso un costante impegno da parte dell’operatore e di tutta l’équipe che opera nel circuito penitenziario, il cui lavoro deve tendere a reintegrare socialmente il reo affinché questi, una volta scontata la pena, possa riscostruirsi un futuro anche (e soprattutto) dal punto di vista lavorativo.
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