Riassunto analitico
Negli ultimi anni, il consumo di formaggi a latte crudo è stato sempre più associato a casi di malattie alimentari, sollevando preoccupazioni sulla sicurezza microbiologica pur mantenendo le tecniche di produzione tradizionali che ne definiscono le caratteristiche uniche. Questo studio è stato progettato per valutare l'impatto di diverse temperature di filatura sulla sopravvivenza e la crescita di quattro principali patogeni lattiero-caseari durante il processo di produzione dei formaggi a pasta filata siciliani a latte crudo. Le produzioni sperimentali di formaggio sono state condotte utilizzando latte crudo di vacca, inoculato con ceppi commerciali selezionati di batteri lattici (LAB) per garantire la coerenza della fermentazione. Il processo ha seguito i metodi tradizionali di caseificazione, incorporando la scottatura della cagliata e una fase cruciale di filatura eseguita in siero deproteinizzato caldo. I formaggi sono stati intenzionalmente contaminati con quattro ceppi patogeni per valutare il loro comportamento in diverse condizioni termiche: Escherichia coli O157 ATCC 25922 e Staphylococcus aureus ATCC 33862 a una concentrazione iniziale di 10³ CFU/ml, insieme a Listeria monocytogenes ATCC 7644 e Salmonella Enteritidis ATCC 13076 a 30 CFU/ml. Per analizzare sistematicamente l'effetto della temperatura di filatura sulla vitalità dei patogeni, sono stati condotti tre distinti test sperimentali: - Prova A: Filatura a 74,5°C per 15 minuti - Prova B: Filatura a 83,6°C per 20 minuti - Prova C: Filatura a 90,2°C per 20 minuti
Le analisi microbiologiche sono state eseguite in più fasi della produzione, tra cui: latte crudo, latte coagulato, cagliata, cagliata acidificata, cagliata filata, formaggi dopo la salamoia e formaggi maturati a 30, 60 e 90 giorni. Per tutti i campioni sono state preparate diluizioni decimali seriali e le sospensioni microbiche sono state sottoposte a conta su piastra per valutare l’evoluzione dei LAB pro-tecnologici, dei batteri alteranti e delle popolazioni patogene. Per determinare la significatività statistica, è stato applicato un modello misto per valutare l'effetto della temperatura di filatura sulla crescita microbica. I risultati hanno rivelato che durante la fase di coagulazione i livelli dei patogeni inoculati sono aumentati significativamente (*P*<0,05), seguiti da un progressivo declino durante la cottura e l'acidificazione della cagliata. Dopo la fase di filatura, le prove B e C hanno mostrato una drastica riduzione della carica patogena (< 3 log10 CFU/g), con conte microbiche al di sotto del limite di rilevazione dalla salamoia in poi, rimanendo non rilevabili per l'intero periodo di maturazione. È interessante notare che le popolazioni di LAB mesofili e termofili (cocchi e bacilli) nella cagliata hanno mostrato livelli comparabili in tutte le prove, raggiungendo conte superiori a 6 log10 CFU/g nei formaggi maturati per 90 giorni. Questi risultati confermano che le tecniche tradizionali di produzione dei formaggi a pasta filata svolgono un ruolo cruciale nel controllo della sopravvivenza dei batteri patogeni. Tuttavia, lo studio evidenzia che una combinazione ottimale di temperatura e tempo di esposizione—specificamente 83,6°C per 20 minuti—è necessaria per garantire un’efficace inattivazione microbica, preservando al contempo l'integrità e le proprietà organolettiche del prodotto finale. In definitiva, questa ricerca rafforza l'importanza di trattamenti termici precisi nella produzione di formaggi a latte crudo, offrendo spunti preziosi sia per i produttori artigianali che per gli enti regolatori, con l’obiettivo di bilanciare sicurezza alimentare e tradizione casearia.
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Abstract
In recent years, the consumption of raw milk cheeses has been increasingly linked to cases of
foodborne illnesses, raising concerns about microbiological safety while maintaining the traditional
production techniques that define their unique characteristics. This study was designed to assess the
impact of different stretching temperatures on the survival and growth of four key dairy pathogens
during the manufacturing process of Sicilian raw milk stretched cheeses. The experimental cheese
productions were conducted using raw cow’s milk, inoculated with selected commercial strains of
lactic acid bacteria (LAB) to ensure fermentation consistency. The process adhered to traditional
cheese-making methods, incorporating curd scalding and a crucial stretching phase performed in
hot deproteinized whey. The cheeses were intentionally contaminated with four pathogenic strains
to evaluate their behavior under different thermal conditions: Escherichia coli O157 ATCC 25922
and Staphylococcus aureus ATCC 33862 at an initial concentration of 10³ CFU/ml, along with
Listeria monocytogenes ATCC 7644 and Salmonella Enteritidis ATCC 13076 at 30 CFU/ml. To
systematically analyze the effect of stretching temperature on pathogen viability, three distinct
experimental trials were conducted: Trial A: Stretching at 74.5°C for 15 minutes, Trial B:
Stretching at 83.6°C for 20 minutes, Trial C: Stretching at 90.2°C for 20 minutes. Microbiological
analyses were performed at multiple production stages, including raw milk, coagulated milk, curds,
acidified curds, stretched curds, cheeses after brining, and ripened cheeses at 30, 60, and 90 days.
Serial decimal dilutions were prepared for all samples, and microbial suspensions were subjected to
plate counting to assess the evolution of pro-technological LAB, spoilage bacteria, and pathogenic
populations. To determine statistical significance, a mixed model analysis was applied to evaluate
the effect of stretching temperature on microbial growth. The results revealed that during the
coagulation phase, inoculated pathogen levels significantly increased (P<0.05), followed by a
gradual decline during curd cooking and acidification. After the stretching phase, trials B and C
demonstrated a drastic reduction in pathogen load (< 3 log10 CFU/g), with bacterial counts falling
below the detection limit from brining onward and remaining undetectable throughout the entire
ripening period. Notably, mesophilic and thermophilic coccus and rod LAB populations in curds
exhibited comparable levels across all trials, reaching counts above 6 log10 CFU/g in cheeses at 90
days of maturation. These findings confirm that traditional stretched cheese-making techniques play
a critical role in controlling pathogenic bacterial survival. However, the study highlights that an
optimal combination of temperature and exposure time—specifically, 83.6°C for 20 minutes—is
necessary to ensure effective microbial inactivation while preserving the integrity and organoleptic
properties of the final product. Ultimately, this research reinforces the importance of precise
thermal treatments in raw milk cheese production, offering valuable insights for both artisanal
cheesemakers and regulatory bodies aiming to balance food safety with traditional craftsmanship.
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