Riassunto analitico
Il sistema sanitario italiano ha subito, a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, un processo di “aziendalizzazione” determinato dai profondi cambiamenti dell’ambiente esterno, definito dall'aumento degli spazi di azione a disposizione delle stesse aziende e sfociato nella ridefinizione degli assetti organizzativi nonché nell'individuazione di nuovi ruoli. Si è avviato, così, un cambiamento organizzativo nel settore sanitario che per essere amministrato ha richiesto l’introduzione di criteri e principi propri della gestione imprenditoriale al fine di conseguire efficacia, efficienza e qualità nell'erogazione dei servizi, prevedendo che alla guida di tale sistema debbano essere poste delle figure professionali dotate di nuove competenze: i manager della sanità. I modelli di governance che rispondono alla previsione normativa prevedono che l’organizzazione sanitaria venga gestita dai nuovi manager, che si pongono al vertice della direzione strategica, con competenza ed autorevolezza al fine di coinvolgere tutti gli attori del sistema nella rete virtuosa della governance e, con l’ausilio delle competenze tradizionali, siano in grado di promuovere, adottare e diffondere strumenti gestionali innovativi. D’altra parte, la qualità dell’assistenza è il risultato finale di un complesso intreccio di fattori che riassumono le capacità di gestione di un sistema sanitario, il grado di razionalità nell'uso delle risorse disponibili, le sue competenze nel governo delle innovazioni biomediche e di gestione del rischio, tanto quanto la sua capacità di indirizzare i comportamenti professionali degli operatori verso scelte diagnostico-terapeutiche giuste ed efficaci (Casolari L., Grilli R.; 2004). La Gran Bretagna, Paese in cui il concetto di governo clinico è nato, ha avuto certamente un impatto decisivo nel testimoniare come il garantire prestazioni di buona qualità fosse una necessità prioritaria, spesso trascurata dai servizi e che i meccanismi di verifica e controllo interni alla professione medica sono del tutto insufficienti e inadeguati come strumento di mantenimento delle performance professionali su standard accettabili. Questi elementi hanno rappresentato, di fatto, lo stimolo per la nascita di una rinnovata attenzione a come realmente vengono assistiti i pazienti, attenzione che nel mondo anglosassone è stata indicata come “Clinical Governance”, indicando con tale espressione il “contesto in cui i servizi sanitari si rendono responsabili del miglioramento continuo della qualità dell’assistenza e mantengono elevati livelli di prestazioni creando un ambiente che favorisce l’espressione dell’eccellenza clinica”. Di primaria importanza è il ruolo che hanno i decisori nei confronti dei concetti e degli strumenti di “Clinical Governance”, “Clinical Audit”, “Clinical Risk Management”. La loro valenza è duplice. In primo luogo, interna: aziende sanitarie e regioni hanno investito in programmi per la qualità dell’assistenza al fine di ottenere soddisfacenti “ritorni sull'investimento”; in secondo luogo occorre considerare la valenza esterna: nella logica del performance measurement, l’attivazione di programmi per il monitoraggio della qualità è un’occasione concreta per misurare l’efficacia del sistema sanitario e trasferire questa informazione all'esterno. La qualità, così processata diventa una dimensione inequivocabilmente misurabile, osservabile nel tempo, non più “generica”, stimolando così la fiducia degli utenti e, di conseguenza, il loro livello di soddisfazione di soddisfazione. Il comune denominatore dei diversi capitoli è un concetto di Governance innovativo e moderno, che riesce a coniugare gli aspetti di gestione clinica con quelli di gestione manageriale, contribuendo a superare le dicotomie che si formano tra aspetti non separabili della prestazione sanitaria.
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