Riassunto analitico
Il disagio, inteso come assenza o perturbazione di un confine entro cui poter operare una collettiva strutturazione di un mondo culturale, è stato un concetto al centro del dibattito nel corso del secondo decennio del Ventunesimo secolo. Uno degli esempi più importanti di questo fermento intellettuale e produttivo intorno alla condizione disagiata è stato offerto dalla musica indipendente italiana. Quest’ultima, in particolare nel suo filone disagista, ha costituito un dispositivo culturale di riferimento per l’universo giovanile dell’epoca, il quale a sua volta ha contribuito a delineare gli stilemi e le forme di questa nuova musica, influenzandola e venendone influenzato. Il presente contributo si propone di delineare innanzitutto il quadro sociologico, psicologico e filosofico entro cui è andato ad affermarsi tale fenomeno. Vengono osservate le modalità con cui esso viene a connettersi con le conseguenze della crisi economico-finanziaria del 2008 e l’affermarsi di una generale condizione di malessere sociale ad essa conseguito, specie in Italia, dove si avverte un progressivo vacillare della classe media, identificabile oramai come vera e propria classe disagiata. Al centro del discorso rimane anche il rimodellarsi delle identità, sempre più soggette agli effetti dei processi di globalizzazione e all’affermarsi delle tecnologie digitali e dei sistemi di interazione neomediale, che contribuiscono non solo a una riconfigurazione identitaria, ma anche a una trasformazione delle proprie relazioni con gli altri e con il mondo. A tal proposito vengono riprese le fondamentali teorie heideggeriane sull’esserci e le loro applicazioni al contemporaneo digitalizzato operate dal filosofo Byung-Chul Han. Le conseguenze delle nuove tecnologie sul reale e sulle produzioni musicali vengono sondate anche attraverso la lente offerta dal concetto di hauntologia formulato da Derrida e articolato nei suoi scritti di critica dal pensatore inglese Mark Fisher. Nella seconda sezione della ricerca si approfondiscono i processi che hanno riguardato la nascita della musica indipendente in Italia, le sue evoluzioni e il suo progressivo affermarsi all’interno del mercato discografico. I riferimenti non rimangono delimitati al cosiddetto campo dell’indie, ma si tenta di scendere all’interno delle dinamiche che hanno contrassegnato anche la scena cantautoriale e popular, andando a osservare alcuni passaggi che saranno poi fondamentali per l’affermarsi di determinate forme e strutture narrative proprie della scena disagista degli anni Dieci. Un’attenzione particolare viene riservata alle modalità di produzione della canzone indipendente sia dal punto di vista dei supporti, che degli arrangiamenti e dei testi. Una tipologia produttiva che si osserverà talvolta, ma non in ogni occasione, coincidere con le formule dell’autoproduzione e dell’alternativismo al mercato. Nella terza sezione, infine, si scende nel close reading, nell’analisi approfondita, delle strutture e delle articolazioni adottate dalla finzione musicale disagista degli anni Dieci. Le canzoni scelte per svolgere tale operazione sono Come Vera Nabokov de I Cani, Frosinone di Calcutta e il trittico dei TheGiornalisti Io non esisto, Fine dell’Estate e Promiscuità. Nel corso della disamina risultano essere centrali i contributi di critica musicale adorniana e i ragionamenti d’estetica di Benjamin, ma anche alcuni classici della critica letteraria come Bachtin e Ricoeur. Nelle canzoni disagiste vengono osservati alcuni fenomeni come l’inagibilità del reale da parte del disagiato, la scomparsa dell’intersoggettività, le criticità inserite nello spazio-tempo della finzione da parte dell’agente digitale.
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