Riassunto analitico
La sclerosi multipla (SM) è una malattia autoimmune caratterizzata da infiammazione, demielinizzazione e neurodegenerazione del sistema nervoso centrale. A livello globale sono più di 2,2 milioni le persone colpite, insorge con maggior frequenza nei giovani e nelle donne. Solitamente, inizia con episodi reversibili di breve durata poi tende a peggiorare gradualmente nel tempo sviluppando deficit cognitivi irreversibili. La SM è una patologia con eziologia ancora non ben conosciuta, nella quale intervengono fattori genetici, ambientali e immunitari. L’interazione complessa delle cellule T e B porta alla formazione di lesioni demielinizzanti nel cervello e midollo spinale. I progressi tecnologici di risonanza magnetica sono fondamentali sia nella diagnosi di SM sia per monitorare la risposta ad un trattamento farmacologico. Attualmente sono numerose le terapie definite Disease-Modifying Therapies (DMTs) in commercio per il trattamento della SMRR, mirano a ridurre il rischio di ricadute e la progressione della disabilità. Un nuovo trattamento DMTs, di seconda linea, riguarda la Cladribina, approvata il 29 marzo 2019 da FDA. Utilizzata in monoterapia per il trattamento di pazienti adulti con sclerosi multipla recidivante-remittente (SMRR) ad elevata attività definita da parametri clinici o di diagnostica per immagini. La cladribina è un farmaco appartenente alla categoria degli antineoplastici ed immunosoppressori. È un analogo nucleosidico della deossiadenosina, da cui differisce per una sostituzione funzionale del cloro nell’anello purinico. La fosforilazione della cladribina nella sua forma attiva, 2-clorodeossiadenosina trifosfato (Cd-ATP), si ottiene in modo particolarmente efficiente nei linfociti con livelli elevati di deossicitidina chinasi (dCK) e relativamente bassi di 5'-nucleotidasi (5'-NTasi). Un elevato rapporto dCK / 5'-NTasi favorisce l'accumulo di metaboliti Cd-ATP che rende i linfociti inclini a morte cellulare. La cladribina ha un effetto selettivo sul sistema immunitario adattivo, provoca un graduale esaurimento dei linfociti, con un impatto maggiore sulle cellule B rispetto alle cellule T. A differenza di altre terapie, agisce come immunosoppressore a breve termine con una successiva graduale ricostituzione della conta dei linfociti. I periodi di trattamento sono brevi e intermittenti, si sviluppano su due settimane l'anno, una settimana all'inizio del primo mese dell'anno in corso e l'altra all'inizio del secondo mese, per un totale di 1,75 mg/kg per anno; ciò consente il ripristino immunitario e successivi periodi senza trattamento. La cladribina è risultata un'opzione di trattamento efficace per merito di una somministrazione orale a basso carico e di breve durata. Dagli studi clinici di fase III CLARITY, CLARITY EXTENSION, ORACLE MS e di fase II STUDIO ONWARD a cui si aggiungono i dati derivati dal registro osservazionale PREMIERE per valutare la sicurezza di cladribina a lungo termine, è stato confermato il rapporto positivo rischio / beneficio del trattamento con una riduzione della percentuale di recidive, della progressione della disabilità, dell'attività delle lesioni e perdita di volume cerebrale. Gli eventi avversi emergenti dal trattamento con le compresse di cladribina sono linfocitopenia, ma questo in realtà è il meccanismo d’azione del farmaco; non vi è stato un aumento del rischio di infezioni in generale, ad eccezione di una maggiore incidenza di herpes zoster correlata a periodi di linfocitopenia grave. Una maggiore percentuale di tumori maligni si è verificata nei pazienti trattati con cladribina rispetto ai pazienti che ricevevano placebo. La cladribina è controindicata in gravidanza in quanto interferisce con la sintesi del DNA, e quindi si possono verificare effetti avversi sulla gametogenesi umana e può causare malformazioni congenite. Il 18 marzo 2019 l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ammette la rimborsabilità di cladribina.
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