Riassunto analitico
La tematica relativa al ruolo del fallimento e della sua dichiarazione giudiziale nella struttura delle fattispecie incriminatrici di bancarotta rappresenta, probabilmente, la questione di maggior complessità dogmatica dell’intero diritto penale fallimentare. Tanto che voglia considerarsi lo stesso quale elemento costitutivo delle fattispecie penali fallimentari (così come fa da decenni la giurisprudenza dominante), quanto che lo si voglia ricondurre nell’alveo delle condizioni obiettive di punibilità (seguendo invece la dottrina prevalente), ci troviamo in presenza di un dato normativo “imperfetto”, certamente bisognoso di operazioni di ortopedia interpretativa. Al fondo dell’impostazione propria della Legge fallimentare (mai seriamente rivista in più di settant’anni) vi è un’idea di politica economica opportunamente definita in termini “liberismo inefficiente”: l’imprenditore viene lasciato libero di amministrare la propria impresa – ed il patrimonio sociale – senza un sindacato penalistico invasivo (si pensi alla procedibilità a querela di numerosi reati societari, dalle false comunicazioni sociali non dannose, all’infedeltà patrimoniale) sino a quando rimane in bonis. Al verificarsi dell’insolvenza, però, non solo le condotte già astrattamente rilevanti secondo altri settori del diritto penale complementare (ad esempio i reati societari procedibili a querela, che, ove eziologicamente connessi al dissesto, rilevano ai sensi dell’art. 223 Legge Fallimentare), ma pressoché qualsiasi atto gestorio o organizzativo (rapporti con clienti, fornitori, istituti di credito, la tenuta delle scritture, i rapporti patrimoniali fra imprenditore stesso ed impresa) viene sottoposto ad un penetrante vaglio penalistico e, ove inquadrabile nelle previsioni degli artt. 216 e s. Legge Fallimentare, imputato all’imprenditore, indipendentemente da una qualsiasi connessione col verificarsi del dissesto che conduce al fallimento. Un approccio tutt’affatto differente è possibile trovare nel sistema dei reati concorsuali statunitense. Se una prima importante differenza riguarda i soggetti attivi dei reati fallimentari e il bene giuridico tutelato, di non minore rilievo è quella relativa al ruolo del fallimento nella struttura dell’offesa. Nel sistema penale fallimentare statunitense l’attenzione si concentra su di un elemento (ed un momento) diverso (ed antecedente), quello della sottoscrizione dell’istanza ai sensi di uno dei paragrafi del Titolo 11 U.S.C. (petition), sia questa promossa dal soggetto attivo (debitore/reo) o dai creditori (involuntary petition), i quali possono (non necessariamente) essere soggetti danneggiati dal reato, ma non persone offese. Inoltre, in presenza di un determinato elemento soggettivo (intent) e finalizzazione dell’azione, talune condotte poste in essere antecedentemente alla sottoscrizione dell’istanza di fallimento (in proprio o da parte dei creditori) ed in previsione di essa possono rilevare penalmente anche qualora nessuna bankruptcy venga mai dichiarata, né sia promossa alcuna istanza in tal senso. Da ultimo le fattispecie nordamericane non contemplano mai il fallimento quale evento necessitato, in un particolare momento della vita dell’impresa/persona fisica, e, conseguentemente, non incriminano l’omissione o il ritardo nella presentazione della relativa istanza, né l’aggravamento del dissesto causato dalla prosecuzione dell’attività imprenditoriale, in assenza di ulteriori condotte rilevanti ai sensi del Titolo 18 U.S.C. § 152 e 157. La comparazione fra i due sistemi – una volta poste in luce le problematiche di cui sopra – sarà dunque finalizzata a indagare quali soluzioni interpretative possano applicarsi al sotto-sistema penale nazionale al fine di coniugare le fattispecie vigenti con il fondamentale principio costituzionale di colpevolezza.
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Abstract
The present dissertation deals with the fundamental problems concerning the application of the Italian constitutional principle of “colpevolezza” in bankruptcy frauds cases. The analysis starts with the description of the Italian bankruptcy crimes and it’s focused, in particular, on the elements of crime: action and causal connection. The main problem, referring to the Italian system, is that, while during the normal life of a company the criminal control on managers’ choices is very mild, after bankruptcy, through bankruptcy crimes, we assist to an extraordinary strong judicial control upon almost every entrepreneurial activity carried on by managers, even many years before the end of business.
The second topic of the analysis is the North American bankruptcy crimes system. We can notice three important differences between Italian and US laws: 1) in US, both corporations and individual persons can file a bankruptcy petition, while, in the Italian system, only corporations can. Thus, both individual persons and managers can be convicted for bankruptcy frauds; 2) bankruptcy frauds, in US, are crimes against the administration of justice and not crimes against creditors’ property (as in Italy are); 3) in US, bankruptcy is not an element of crime for many bankruptcy crimes, while in Italy it is an essential element of crime.
The research will investigate if it is possible to use the US experience to interpret the Italian laws in order to elaborate a constitutionally oriented judicial application of bankruptcy crimes.
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