Riassunto analitico
Uno dei problemi fondamentali del diritto del lavoro contemporaneo riguarda il difficile bilanciamento tra la flessibilità del lavoro e la tutela dei lavoratori, laddove la prima viene solitamente vista come una necessità storica per mantenere la competitività delle imprese, mentre la seconda appare un indispensabile “contrappeso” per non tralasciare le istanze protettive dei diritti dei lavoratori. La flessibilizzazione del lavoro è considerata la risposta alle trasformazioni organizzative dei modelli di impresa da tradizionali in post-fordisti, in cui il concetto di subordinazione viene considerato eccessivo e strabordante rispetto alle necessità mutevoli dell’impresa, che preferisce modularne il contenuto attenuando la pregnanza del potere direttivo e l’illimitata messa a disposizione delle energie da parte del lavoratore: massiccio dunque il ricorso a contratti di lavoro ad orario “ridotto, modulato o flessibile”, nonché a forme di rinuncia tout court al lavoro dipendente, come accade nei processi di esternalizzazione. La prospettiva esaminata nel presente lavoro considera irrinunciabile il concetto di subordinazione, elemento qualificante e unitario del tipo lavoro nell’impresa, che ben può essere declinato e “flessibilizzato” al proprio interno, mantenendo nel rapporto di lavoro, e non disperdendo nel mercato, il valore qualitativo di un utilizzo più ampio e variabile della manodopera. Al centro della soluzione evidenziata sta la contrattazione collettiva, strumento autonomo e partecipato con cui le parti del rapporto di lavoro ne stabiliscono le condizioni di svolgimento, in particolare se la determinazione negoziata avviene in quel medesimo livello d’impresa ove se ne richiede l’applicazione. A questo proposito, un interessante modello di indagine è rappresentato dalla strategia di conciliazione di flessibilità e tutele presente, in parte per tradizione e in parte come risposta alla recente crisi economica, in Germania, la quale ha la caratteristica di incentrarsi quasi totalmente sul posto di lavoro, volutamente non realizzando quel passaggio delle tutele “dal lavoro al mercato” propugnato all’opposto dalla flexicurity comunitaria. In sintesi, il modello tedesco promuove uno scambio tra flessibilità e sicurezza direttamente nel rapporto di lavoro, tra l’impresa e il lavoratore. Il dipendente acconsente infatti acché la sua prestazione venga fruita dall’impresa con la massima flessibilità, in termini di orario, di entità della retribuzione e anche di tipo di mansioni; in cambio, il lavoratore ha la promessa che non perderà il proprio posto di lavoro e resterà stabilmente legato all’impresa. Questo scambio si compie a livello aziendale, sia attraverso veri e propri contratti collettivi, sia attraverso strumenti di collaborazione e codeterminazione (betriebliche Mitbestimmung) tra la parte datoriale e un soggetto di rappresentanza dei lavoratori di matrice non sindacale, il Consiglio di fabbrica (Betriebsrat). Senza pretese di comparazione in senso stretto, l’indagine è completata con una ricostruzione dell’attuale struttura della contrattazione collettiva aziendale in Italia, in particolare dopo il “caso Fiat” e l’art. 8 l. 148/2011, alla ricerca delle possibili soluzioni di flessibilità contrattata che potrebbero mantenere le garanzie del rapporto di lavoro senza rinunciare alla competitività delle imprese. I principali problemi che emergono sono relativi all’efficacia soggettiva della contrattazione collettiva, storicamente gravata dall’inattuazione dell’art. 39, comma 4, Cost. e in anni recenti contraddittoriamente disciplinata dalle parti sociali e dal legislatore, nonché ai rapporti tra i diversi livelli di contrattazione in particolare quanto all’inderogabilità delle regole di matrice sindacale.
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Abstract
One of the central problems of contemporary labour law concerns the difficult balance between labour flexibility and workers’ protection, where the former is usually conceived of as historically necessary to maintain the competitiveness of enterprises, while the latter appears as an essential "counterweight" that must be applied in order not to neglect workers’ rights guarantees.
Work flexibilization is considered the due response to organizational changes linked to the transition from traditional business models to post-Fordist companies, which are supposed to be too lean to have rigid, stable relations with their employees. The concept of dependence could be considered disproportionate and hindering in relation to the changing needs of the company, which prefers to modulate its content and reduce the breadth and width of its powers as employer: thus the widespread habit of using part-time or on-call employment contracts, as well as forms of rejection of dependence itself, such as in outsourcing processes.
The view examined in this thesis considers the concept of dependence as indispensable, and as a defining and constitutive element of work activity in the enterprise, which may be in itself adapted and flexibilized, keeping protection within the realm of the employment relationship rather than dispersing it into the market, and preserving the qualitative value of a variable and wider use of labour within a single firm. The paramount element of this solution is represented by collective bargaining agreements. These are viewed as an autonomous tool through which the parties of the employment relation may fix working conditions, in particular when the negotiation takes place directly at the same enterprise level where the agreement will be applied.
In this regard, an interesting model of investigation is the strategy of reconciling flexibility and protection realized, partly because of tradition and partly as a response to the recent economic crisis, in Germany. Such strategy has the characteristic of focusing almost entirely on the single firm-level employment relation, deliberately avoiding that passage of guarantees "from the employment contract towards the labour market" promoted by the EU flexicurity strategy. In a nutshell, the German model promotes an exchange between flexibility and security directly within the working relationship. Employees agree to contribute flexible work in terms of work time, wage and tasks; in return, they know they will not lose their job and will remain firmly tied to the company and their workplace. This exchange takes place at the enterprise level, both through trade unions’ collective agreements, and through cooperation and co-determination tools (betriebliche Mitbestimmung) between the employer and firm-level workers’ representatives from the works council (Betriebsrat).
Without undertaking a comparative analysis of the two legal systems in the strict sense, the investigation nevertheless examines the main features of collective bargaining in Italy, particularly after the "Fiat case" and art. 8 l. 148/2011, in search of consistent solutions for negotiating both flexibility and workers’ protection within the employment relation. The main problems that arise are related to the subjective effectiveness of collective bargaining, historically burdened by art. 39, paragraph 4, of the Constitution and in recent years conflictingly regulated by the social parties and the legislator, as well as to the relations between different bargaining levels, with a focus on the issue of inderogability.
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