Riassunto analitico
Mai come ora, l’ostetricia, per poter svolgere nella pratica clinica la sua mission, deve definire, prima che lo facciano altri, qual è e quale deve essere la “clinical competence”, cioè la competenza professionale dell’equipe ostetrica a partire dall’utilizzo dei metodi di gestione, e dell’utilizzo dei sistemi di valutazione della qualità professionale, fino ad arrivare al lavoro in team che spesso è poco praticato ed ancor meno conosciuto. I modelli gestionali appaiono sempre più autoreferenziali, e le competenze professionali tecniche disperse in sedi e professionisti sempre diversi e spesso non collaboranti tra loro. La Clinical competence è il risultato delle conoscenze, abilità e capacità tecniche, delle qualità professionali, manageriali, relazionali e operative di ogni singolo specialista nel contesto sanitario di riferimento. Presuppone un bilanciamento ottimale di alcune componenti - sapere, saper fare e saper essere - in una prospettiva multidimensionale e complessa d’interazione tra sfera cognitiva, decisioni pratiche per la soluzione dei problemi, dinamiche relazionali e contesto socio-organizzativo. È un “habitus”, che permea la vita professionale di ogni singolo medico, acquisita nel corso del tempo. Già nel 1990 lo psicologo George Miller propose un modello di riferimento per la valutazione della competenza clinica secondo una stratificazione crescente in una piramide virtuale, integrando le conoscenze di base, le competenze funzionali e quelle personali con le “azioni agite” La complessità della definizione, accertamento e validazione della Clinical competence in ostetricia richiederà di focalizzare quali istituzioni potranno essere accreditate e quali potranno essere garanti di una certificazione “on work” e di una verifica periodica in tema di Competenza clinica. È necessario perseguire obiettivi di certificazione professionali e non formali, sostanziali e non strutturali, basati su elementi oggettivi di giudizio. E gli strumenti di valutazione dovranno essere sempre condivisi e applicati, a prescindere che si tratti di un contesto universitario, ospedaliero o di ospedalità privata accreditata, con un approccio di revisione “tra pari” (peer review) e in base a espliciti indicatori di qualità assistenziale
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