Riassunto analitico
L’articolo 41 della Costituzione riconosce la libertà di iniziativa economica privata, all’imprenditore sull’attività da effettuare, su quali e quanti dipendenti assumere, se incrementare o ridurre il proprio organico e su come organizzare il proprio processo produttivo. L’analisi effettuata, in una prima fase, mette in luce come le relazioni di lavoro, anche collettive, vedono l’affievolirsi della loro originaria bilateralità, costruita sull’architrave semplificata dell’esercizio del potere di eterodirezione con l’inevitabile pericolo di ridurre le tutele dei lavoratori. Il presente lavoro parte quindi dal percorso evolutivo organizzativo dell’impresa, partendo dal modello taylorista fino ad arrivare all’industria 4.0. All’analisi dei modelli, segue l’approfondimento rispetto alle forme di decentramento produttive più diffuse, dal trasferimento di ramo d’azienda, alla somministrazione di lavoro, con un focus più specifico sull’appalto. Ogni forma descritta, è accompagnata da una disamina rispetto ai tentativi, più o meno incisivi, di governare tali fenomeni da parte del Legislatore. All’interno di questo contesto, l’obiettivo è quello di verificare quali siano nel nostro ordinamento le tutele sia per i prestatori di lavoro che per i datori di lavoro rispetto alle ripercussioni che ,il contratto di appalto in particolare, ha sui rapporti di lavoro stessi, dal momento dell’affidamento fino al momento della fase estintiva. La dottrina e alcune scelte legislative hanno portato, negli anni, alla soppressione della parità di trattamento, che ha comportato una ricerca sempre maggiore della soppressione dei costi da parte delle aziende con un ricorso sempre più importante alle esternalizzazioni, non solo per l’affidamento di quei servizi non legati al core business ma anche come leva puramente economica. Il rischio della sottotutela economica e normativa dei lavoratori è un rischio reale, attutito però, da alcune disposizioni normative, e da un’attenta applicazione della disciplina dell’appalto ovvero da una scrupolosa verifica dei requisiti di questa fattispecie. Appare dunque evidente che, per evitare regimi di sottotutela, l’imprenditore deve abbandonare la prospettiva del mero abbattimento dei costi per non far ricadere sui lavoratori il costo sociale della competizione conseguente ad una sempre maggior richiesta di flessibilità del lavoro. Per questo, l’ultimo capitolo si concentra su uno strumento, introdotto nel 2003, dalla Legge Biagi, che gioca un ruolo chiave per contrastare l’irregolarità, con particolare riferimento al c.d. “lavoro grigio”, ossia a quelle ipotesi di lavoro prestato da soggetti regolarmente denunciati ma a cui vengono applicate tipologie contrattuali che non corrispondono nei fatti al rapporto di lavoro in esame. Lo strumento approfondito è quello della certificazione dei contratti di lavoro. Il capitolo inizia quindi con un approfondimento rispetto ai soggetti obbligati dal Legislatore a certificare e, di conseguenza, indaga sulle motivazioni che spingono gli altri soggetti, esclusi dall’obbligo a certificare un contratto di lavoro, analizzando nel dettaglio il processo di certificazione, i soggetti legittimati a certificare, i vantaggi, gli effetti e la durata della certificazione. Se ne ricava che questo strumento risulta essere fondamentale, in questo quadro normativo complesso e frastagliato, perchè permette di approfondire, analizzare, con il fine ultimo di certificare, le intenzioni delle parti di sottoscrivere una tipologia contrattuale a discapito di un’altra, in una prospettiva che vede entrambe le parti, Datore di lavoro e Prestatore (quindi non solo il Prestatore di lavoro), impegnate a tutelarsi, volontariamente e reciprocamente, nel rispetto della normativa giuslavorista, fiscale, retributiva, previdenziale ed assistenziale.
|