Riassunto analitico
Questa tesi riporta l'esperienza di progettazione e intervento sui comportamenti problematici elaborato, dell'equipe di lavoro di una cooperativa socio-riabilitativa, destinata ad un utenza disabile adulta. Il percorso di riassetto della progettazione educativa, intrapreso con un formatore esterno, ha portato il gruppo di lavoro degli operatori, ad interrogarsi e riprogettare interventi su comportamenti problematici di alcuni dei fruitori presenti nel servizio. Molti comportamenti problema escludono direttamente la persona da una serie di possibilità di autorealizzazione. I comportamenti problema, frenano l'educazione, esasperando chi educa; costruiscono una gabbia di impotenza, che restringe le possibilità e impoverisce il progetto di vita (Ianes 2002). Partendo da queste premesse ho provato attraverso la lettura di testi specializzati, di scrivere quest'elaborato per porre dei punti teorici e tecnici necessari nella progettazione e nell'intervento con persone disabili, che presentano comportamenti problematici (CP). Il CP è la condizione che più frequentemente il professionista di questo settore si trova ad affrontare, il 69,9% delle persone con DI (disabilità intellettiva) ha in anamnesi almeno un CP (Castellani 2010). L'espressione “callenging behaviour” è stata coniata da Emerson nel 1995 per indicare comportamenti culturalmente abnormi, di intensità, frequenza e durata tali da: mettere in pericolo l'incolumità personale e degli altri; rendere difficile/o impossibile l'ascesso a servizi normalmente fruibili; compromettere la qualità dell'esistenza formale e informale (Castellani 2010). I CP tendono a manifestarsi fin dai primi anni dello sviluppo per poi aumentare in gravità e frequenza nell'adolescenza. I CP vengono comunque interpretati come risultato di un'interazione sfavorevole tra le persone e ambiente fisico e sociale: determinano gravi conseguenze in termini di riduzione dei livelli di partecipazione e mettono a grande prova la residenzialità della famiglia e dei caregiver (Castellani 2010). Quando una persona con DI gravi mostra CP con frequenza gravità tale da causare danni alle cose o lesioni alle persone, i famigliari e gli operatori sono obbligati ad adottare strategie di intervento psicoeducativo finalizzate a ridurre gli atti problematici della persona ed aumentare il suo grado di partecipazione alle attività di gruppo (Zambotti 2014). Un buon programma psicoeducativo dovrebbe: individuare le ragioni del comportamento; essere positivo sostitutivo; lavorare in alleanza con il soggetto e famigliari e caregiver (Ianes 2002). Considerazioni personali, stimolate dal case-report sono: la stesura del progetto di vita e del progetto d'intervento devono essere orientati da alcuni costrutti culturali (empowerment, agency, capability). Tutti e tre questi costrutti impongono agli operatori di mettere al centro la persona disabile, di ascoltare le sue mete i valori che la guidano e di offrire sostegni per comprendere realisticamente la gamma delle opportunità offerte dall'ambiente, dalle implicazioni delle scelte, e di offrire opportunità di essere coinvolto nell'organizzazione del proprio ambiente sociale (Ruggerini 2013); il progetto d'intervento deve ritenere, che la dimensione esistenziale e le necessità mediche sono entrambe necessarie e importanti, per il raggiungimento degli obiettivi e mete della persona disabile (Ruggerini 2013). Infine le conclusioni del case report, mi portano ad asserire, che conoscere la teoria e costruire un programma ben strutturato, spesso non basta. Le ragioni secondo Foxx (1992) sono che: ci concentriamo nel creare tecnologi del comportamento invece che artisti; seguiamo un modello di intervento reattivo piuttosto che proattivo; non sempre si riesce ad utilizzare realmente la competenza tecnica disponibile; cerchiamo di trattare per prima cosa i problemi di comportamento più difficili.
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