Riassunto analitico
Abbandonando la visione esclusivamente reocentrica del sistema penale in favore di un cambio di rotta finalizzato ad un ripristino delle priorità da perseguire con la celebrazione del processo, tra cui l’esigenza di una maggior tutela per la vittime di reato, l’ordinamento sovranazionale e successivamente il nostro ordinamento interno si sono accorti di quelle che vengono definite vittime vulnerabili. In un percorso che vede come punto di partenza la categorizzazione dei soggetti versanti in una condizione di vulnerabilità si è arrivati, dietro impulso dell’Unione europea, a privilegiare il c.d. individual assessment, ossia una valutazione individuale effettuata caso per caso. In questa evoluzione, avente come obiettivo primario la crescita delle protezioni da accordare alla vittima di reato, una sola cosa è rimasta certa: la persona minore d’età è, tra le vittime, quella che può essere sempre e presuntivamente considerata vulnerabile. Nei procedimenti penali che purtroppo vedono “protagonisti passivi” giovani e bambini, in particolar modo quelli aventi ad oggetto l’accertamento di abuso sessuale, fra le fasi più delicate e complesse vi è quella riguardante l’assunzione della testimonianza della vittima. Risulta ormai appurato come in ambito giudiziario la raccolta delle dichiarazioni di un minore, che spesso costituisce l’unica fonte di prova, debba avvenire con criteri e modalità che abbiano quale obiettivo principale quello della tutela del minore stesso. Sono le scienze psicologiche a dare un apporto significativo e ad aiutare giudici, pubblici ministeri, difensori e chiunque si trovi ad approcciarsi con un minore (presuntivamente) abusato, a comprendere quali sono i diversi fattori che possono influenzare il bambino e come questi agiscano sulla sua memoria provocando un’alterazione del ricordo e di conseguenza portandoli ad elaborare un racconto non veritiero. Vi è però da riconoscere che a dettar criteri e metodologie da seguire come linee guida per l’ascolto del minore e per una corretta raccolta del contributo probatorio non sia la legge ma, bensì, protocolli di natura scientifica sviluppatisi sulla base di diversi studi riguardanti l’età evolutiva. Se è vero che le scienze psicologiche forniscono un contributo prezioso, esse pur tuttavia non hanno valore normativo. Il problema principale quindi non è risolto: rimane infatti, un’evidente carenza da parte del legislatore nel prevedere una disciplina che tenga conto dell’elevato rischio di suggestionabilità del minore e che detti regole specifiche e vincolanti in tema di assunzione della testimonianza dalla giovane fonte di prova. Necessario risulta però specificare come questa si tratti di un deficit e non di una mancanza assoluta di garanzie processuali, in quanto è possibile osservare come negli anni siano state apportate diverse modifiche al codice di procedura penale improntate sempre più all’esigenza di soddisfare contemporaneamente esigenze contrapposte, ossia la tutela della serenità del dichiarante e l’accertamento della verità.
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