Riassunto analitico
La Dichiarazione universale dei diritti dei popoli di Algeri (1976), coronamento dell'intenso impegno pragmatico-intellettuale che il socialista italiano Lelio Basso rivolse ai temi della giustizia internazionale e a sostegno dell'emancipazione sostanziale dei popoli subordinati del "Terzo Mondo", nonostante il suo carattere privato, costituisce documento fondamentale al fine di cogliere le potenzialità emancipatorie che l'uso normativo del concetto di "popolo", nonostante le strumentazioni politiche cui tale argomento si è prestato, è in grado di spiegare in favore, sia degli enti collettivi, sia dei soggetti individuali. A partire dalla demistificazione delle astrazioni assimilanti e generalizzanti che hanno condotto, rispettivamente, ad una marginalizzazione del popolo a mero corollario dell'imperium normativo statale, e, ad una fallace rappresentazione atomistica dell'individuo, svincolandolo da ogni legame con la realtà storico-contingente. La teoria bassiana, riconoscendo il ruolo fondativo e legittimante che la realtà popolare svolge nei confronti dell'istituzione statale, nonché l'inalienabile vocazione comunitaria connaturata ad ogni individuo, delinea i fondamenti di un nuovo paradigma giuridico internazionale in grado di aprire la teoria dei diritti umani al principio della differenza storico-contingente dei soggetti titolari e di legittimare, minando lo statocentrismo delle relazioni internazionali, un' effettiva partecipazione delle soggettività non statali entro la comunità internazionale. Il sistema di protezione integrato proposto dalla Carta di Algeri, nella misura in cui sintetizza esigenze normative di entità, apparentemente, antagoniste come il popolo e l'individuo, risulta in grado, non solo di garantire strumenti di tutela nei confronti delle dinamiche oppressive del sistema internazionale post-coloniale o, di garantire la valorizzazione giuridica delle identità soggettive differenziate, bensì testimonia come, a partire da una ri-concettualizzazione degli assiomi fondamentali del "popolo" e dell'"individuo" sia possibile elevare l'argomento dei diritti collettivi a elemento migliorativo del tradizionale catalogo dei diritti umani. Nella visione normativa della Carta di Algeri, infatti, la dimensione giuridica collettiva e quella individuale si sostengono vicendevolmente in soluzione di indivisibilità e complementarietà, proponendosi un ideale finalistico comune: la protezione della dignità umana nella sua concretezza reale che, in virtù della riconosciuta vocazione comunitaria, è determinata anche da bisogni superindividuali. Tale soluzione di indivisibilità fra pretese collettive dei popoli e diritti umani individuali, la cui più manifesta formalizzazione è testimoniata nell'esplicito riconoscimento del diritto all'autodeterminazione interna, permette di illuminare due fra le più rilevanti integrazioni migliorative che la valorizzazione dei diritti collettivi può conferire alla tutela dei diritti umani individuali. In primo luogo, l'introduzione del legame di propedeuticità fra godimento dei diritti individuali ed emancipazione collettiva, inserendo il benessere giuridico dei singoli individui fra gli interessi collettivi del popolo, oltre che esulare da qualsiasi concessione olistica, conferisce ai diritti umani individuali una tutela collettiva rafforzata. In seconda analisi, si assiste alla predisposizione di una nuova metodologia cognitiva nei confronti dei diritti umani individuali e delle relative violazioni sistematiche che, inquadrando la problematica secondo schemi totalizzanti, appare in grado di riconoscere le cause originarie e strutturali di dette violazioni le quali, generalmente, risiedono in una più generale ed ampia violazione del collettivo diritto del popolo all'autodeterminazione.
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