Riassunto analitico
Scopo dello scritto è, per quanto possibile nei limitati spazi di una tesi, percorrere l’evoluzione (o involuzione?) dell’istituto della legittima difesa nel sistema penale italiano, dalla codificazione Zanardelli (1889) alle ultime formulazioni (l. 26 aprile 2019, n. 36). Si tratta di un percorso contraddistinto, da un lato, dalla crescente consapevolezza dottrinale della struttura e della giustificazione sistematica della legittima difesa; dall’altro, dall’emersione o meglio “riemersione” di esigenze di tutela diversificate, con l’introduzione (2006) della legittima difesa domiciliare, tornata da ultimo alla ribalta (2019) con l’ampliamento della presunzione di proporzionalità ed un’inedita previsione in materia di eccesso colposo. L’evidenza “naturale” della legittimità di una difesa contro l’aggressione ingiusta non sempre equivale, purtroppo, a trasposizioni normative di evidenza altrettanto piana e di univoca lettura. Non è facile, in particolare, trovare un punto di sintesi tra gli imprescindibili canoni posti dalla Carta Costituzionale alla formulazione del precetto penale – in primis precisione e determinatezza, corollari del principio di legalità – e le comprensibili istanze che manifesta il tessuto sociale, anche attraverso la narrazione politico-mediatica, chiedendone a gran voce una ricezione spesso difficoltosa all’interno degli stessi testi normativi. Così, nonostante il passare dei decenni, il compito del legislatore si complica, mentre ogni nuovo lemma aggiunto alla formulazione base della scriminante sembra porre, in un gioco di scatole cinesi, nuovi problemi interpretativi in luogo di quelli che si prefiggeva di risolvere. Né la politica in aula appare disposta a “resettare” la stratificazione retorica – in cui gli argomenti schiettamente penalistici sono, a ben vedere, una minoranza – per il bene della qualità normativa. Il presente lavoro cerca quindi di toccare tutti i temi-chiave coinvolti dalla disciplina della legittima difesa, di compiere una ricognizione del diritto vivente, e di valutare se la “nuova” fisionomia che l’istituto ha alfine raggiunto nel nostro ordinamento risponda in modo davvero credibile ed efficace alle esigenze suddette.
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