Riassunto analitico
Per quanto potrà sembrare decontestualizzato, è nell’intenzione di chi scrive, oltre che affrontare le questioni tecniche aperte dalla vicenda processuale Eternit, ormai nota sia per le conseguenze negative su individui, comunità coinvolte e non ultimo ambiente, sia per l’epilogo in sede di giudizio che ha imposto una profonda riflessione sulle categorie storiche del diritto penale e le tecniche di tutela, volgere lo sguardo in questa breve introduzione a delle tematiche filosofiche di fondo che potrebbero se non spiegare, quantomeno far acquisire maggiore nitidezza alle criticità aperte dal caso in questione. Se, ai fatti oggetto di contestazione in sede processuale che si sono succeduti dagli anni ′60 fino ai giorni nostri, applicassimo idealmente una delle tradizionali teorie della causalità, quella della condicio sine qua non , come in una sorta di gioco di eliminazione mentale che ci costringesse a risalire all’azione senza la quale l’evento dannoso non si sarebbe verificato, vedremmo che probabilmente non ci sarebbe una risposta nemmeno lontanamente univoca e soddisfacente. Tuttavia, in questo processo di semplificazione, potremmo individuare, andando a ritroso e cadendo nel paradosso del regresso all’infinito, un nucleo concettuale pregnante: la cosiddetta tecnica. Potremmo infine far coincidere la tecnica, in senso stretto, con l’invenzione e la brevettazione del cemento-amianto – utilizzato nell’industria già dai primi anni del ‘900 e diventato poi famoso col nome Eternit, che intuitivamente rimanda alle caratteristiche di resistenza e durevolezza nel tempo – ed in senso lato, riferendoci sia «all’universo dei mezzi (le tecnologie) che nel loro insieme compongono l’apparato tecnico sia la razionalità che presegue al loro impiego in termini di funzionalità ed efficienza» . In questo mondo, che può definirsi un mondo ormai dominato dalla tecnica – intesa in senso lato, secondo la definizione sopra citata – l’uomo ha perso sempre di più la sua dimensione istintuale ed umana, e da soggetto in grado di controllare le sue creazioni, come queste fossero strumentali agli obiettivi che si proponeva, è passato ad identificarsi sostanzialmente nella tecnica stessa. Nel corso della storia la dimensione dell’istinto ha lasciato posto all’azione, alla creazione, alla progettazione e così facendo l’agire tecnico si è impadronito dell’essenza dell’uomo, determinandone e facendone dipendere addirittura la sua stessa sopravvivenza. L’accennato mutamento di orizzonte, nel quale non è più la natura con le sue leggi a governare l’uomo e nel quale prende forma l’incapacità dello stesso di attuare un controllo sulla tecnica, di sviluppare uno sguardo “supervisore”, rende evidente una ridefinizione delle principali regole di esperienza, di quelle categorie che hanno sempre determinato il suo stare nel mondo; una di queste, funzionali per il prosieguo del discorso, è senz’altro la politica. La politica in quanto arte del governo, e, più concretamente, attività diretta ad amministrare la vita pubblica attraverso un potere decisionale, nel contesto odierno pare aver assunto un volto ormai passivo; si relega ad amministrazione tecnica, decidendo di volta in volta a vantaggio di interessi economici e/o funzionali. Non ci stupisce, riferendoci al caso concreto oggetto di analisi, assistere ad una compressione di beni giuridici quali appunto salute ed ambiente, in ragione di utilità e di vantaggi economici. L’utilizzo massiccio del cemento-amianto nei decenni passati risponde sostanzialmente a logiche utilitaristiche, a quel criterio di funzionalità proprio della tecnica.
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