Riassunto analitico
All’inizio del terzo millennio, in Italia come nella maggior parte dei paesi economicamente più avanzati, la durata della vita ha raggiunto valori che un secolo fa erano del tutto impensabili, corollario del progresso economico, tecnico-scientifico e sanitario. L’aspettativa di vita alla nascita era, nell’Italia del ‘900, di poco superiore ai 40 anni in entrambi i sessi, mentre ai giorni nostri raggiunge quasi gli 80 anni negli uomini e gli 85 nelle donne. Gli ultraottantenni sono sempre meno frequentemente i “nonnini” e “nonnine” della pubblicità e sempre più attivi, pronti ad infilarsi la tuta; l’87% non fuma, il 70,1% non consuma alcolici, il 58% si sottopone frequentemente ad accertamenti ed il 51,2% esegue visite mediche e specialistiche; il 67,9% assume frequentemente farmaci, l’81,5% non assume farmaci senza prescrizione medica. Resta però un’altra fascia di questa popolazione che non ha queste caratteristiche e lo vediamo giornalmente nei nostri reparti. In questo gruppo di soggetti è estremamente frequente la cosiddetta sindrome clinica da fragilità.Le malattie cardiovascolari rappresentano ad oggi non solo la principale causa di morte nell’anziano ma anche e soprattutto la principale causa di morbosità e inabilità.nell’ultraottantenne le più frequenti patologie cardiache sono sicuramente la fibrillazione atriale, i disturbi di conduzione, le valvulopatie, la cardiopatia ischemica ma soprattutto lo scompenso cardiaco. Un modello ottimale di gestione dello SCC, in particolar modo per il paziente in età avanzata, con basso stato funzionale e comorbosità, deve prevedere una rete organizzativa che raccordi la terapia in acuto con quella a lungo termine.Scopo: studio di ampio respiro per questa fascia di popolazione. Risultati:in corso di elaborazione
|