Riassunto analitico
Il d.lgs. n. 231 del 2001 introduce la responsabilità amministrativa degli enti per reati compiuti nel suo interesse o a suo vantaggio da soggetti qualificati. Non più societas delinquere non potest, soppresso da una responsabilità solo formalmente amministrativa ed indipendente da quella penale del reo, generata dal mancato impiego ovvero dalla presenza di deficit strutturali del modello di organizzazione e gestione, inteso quale insieme di principi, regole, e procedure idonee a consentire all’ente di poter beneficiare della funzione esimente. Inderogabile strumento di efficienza, il sistema disciplinare interno al modello organizzativo ne costituirà parte integrante, attivo sul fronte ante e post delictum e funzionale all’idoneità astratta e concreta del modello stesso. Nonostante l’importanza attribuita, il legislatore non va oltre una generica quanto meno discutibile determinazione indiretta del contenuto, prevedendo l’introduzione di un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello. Indipendenza ed autonomia della responsabilità disciplinare muovono in direzione del codice giuslavoristica di cui all’art. 7 dello Statuto dei lavoratori ed è invero nel diritto del lavoro che dottrina e giurisprudenza traggono i principi e le regole poste a fondamento dell’impianto, non senza incertezze e complicate operazioni ermeneutiche. Ad eccezione del rapporto con la contrattazione collettiva, la natura regolamentare del modello di organizzazione e gestione non pone particolari complessità a proposito della compatibilità con altre fonti dell’ordinamento. Per converso, l’inclusione di soggetti tradizionalmente sottratti al potere disciplinare del datore di lavoro, quali amministratori, dirigenti, parasubordinati ed autonomi, indubbiamente privi dei tradizionali criteri giurisprudenziali caratterizzanti la subordinazione, conduce l’interprete ad una complessa opera edificatrice di un impianto che, valicando l’ambito lavoristico, acquista carattere di un vero e proprio « codice multidisciplinare ». Principio di proporzionalità e ratio sottesa al decreto legislativo sembrano sancire l’inidoneità di un modello di organizzazione e gestione sorvegliato dalle sole sanzioni di diritto comune e l’assunto trova poi conferma nella giurisprudenza di legittimità, laddove esclude che il provvedimento disciplinare rivesta carattere risarcitorio. Se si esclude il rapporto di lavoro subordinato non dirigenziale, ove il modello organizzativo 231 costituisce parte integrante del codice disciplinare previsto dallo Statuto dei lavoratori, per tutte le altre figure contrattualmente legate all’ente le difficoltà non si arrestano alla determinazione del fondamento giuridico, ma si estendono all’individuazione delle condotte e delle connesse sanzioni, attesa l’operatività del principio di tipicità. L’assenza di ogni indicazione rende non meno controversa l’individuazione del soggetto cui spetta l’obbligo di rilevare le infrazioni del modello, ove l’unico dato certo è costituito dalla titolarità delle funzioni d’iniziativa e controllo in capo all’Organismo di vigilanza.
|