Riassunto analitico
Negli ultimi decenni il rapporto tra contribuente e Amministrazione finanziaria ha conosciuto un’evoluzione sempre più indirizzata dal legislatore verso la strada dell’adempimento spontaneo (o compliance fiscale). Il diritto di interpello, consistente nell’ottenere un parere dell’Amministrazione finanziaria, è uno dei principali istituti giuridici che ha influenzato il medesimo rapporto, anche alla luce della sua funzione di strumento deflattivo del contenzioso e della sua finalità di garanzia di un certo grado di certezza in quanto il contribuente non può ricevere atti impositivi dal Fisco in assenza di discrasie tra il comportamento fiscale del contribuente e il contenuto della risposta all’istanza di interpello. Dopo l’analisi nel primo capitolo circa l’evoluzione teorica e applicativa dell’interpello in sede tributaria, attraverso anche un’attenta disamina dottrinale e giurisprudenziale, partendo dalle sue origini normative sino all’assetto legislativo attuale. Nella seconda parte, l’attenzione è stata rivolta verso una sua specifica declinazione, ossia l’interpello c.d. disapplicativo, e al rapporto che quest’ultimo ha con il fenomeno dell’elusione. Nella terza parte il focus è stato posto sulla disciplina vigente che regolamenta gli strumenti del diritto doganale grazie ai quali il contribuente può ottenere un parere vincolante per la classificazione della merce da importare e relativa applicazione della taric (tariffa integrata dell’Unione europea) tramite la decisione ITV (informazione tariffaria vincolante) e un parere vincolante per l’origine della merce oggetto del commercio internazionale attraverso la decisione IVO (informazione vincolante sull’origine), entrambi rientranti nella categoria dell’interpello. Il presente lavoro, infine, si conclude analizzando i risultati ottenuti a seguito delle riforme legislative e rivolgendo l’attenzione anche ad eventuali criticità ancora da risolvere.
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