Riassunto analitico
Se la giurisdizione è l’attività necessaria al fine di provare che un soggetto abbia commesso un reato, fino a che tale prova non sia stata raggiunta attraverso un regolare giudizio, nessun reato può considerarsi commesso né alcun soggetto può ritenersi colpevole e sottoposto a pena. In questo senso il principio di giurisdizionalità, affermando in senso lato che non si dia colpa senza giudizio, e in senso stretto che non si dia giudizio senza che l’accusa venga sottoposta a prova e a confutazione, postula la presunzione d’innocenza dell’imputato fino alla prova contraria sancita dalla sentenza definitiva di condanna.
Si tratta, come affermò Luigi Lucchini, di un <<corollario logico del fine razionale assegnato al processo e insieme della prima e fondamentale garanzia che il procedimento assicura al cittadino: presunzione juris, come suol dirsi, cioè sino a prova contraria>> .
Non deve essere dimostrata l’innocenza, bensì la colpa; ed è proprio la prova della colpa, e non quella dell’innocenza che inizialmente è presunta, che forma l’oggetto del giudizio.
Secondo Lucchini, non intendere tale principio come pietra miliare dell’ordinamento, comporterebbe due conseguenze estremamente negative: 1) il danno e il nocumento che deriverebbero al soggetto ingiustamente incriminato, porterebbe i consociati a perdere fiducia e rispetto nelle istituzioni stesse, posto che essi si vedrebbero esposti non solo alle insidie dei delinquenti, ma anche alle ingiuste accuse dei giudici e dei pubblici funzionari ; 2) il discredito che si rifletterebbe sullo Stato, sulla legge e sulla pubblica autorità, a fronte delle forti ingiustizie che verrebbero integrate in nome e per opera di un tal principio antidemocratico e antisociale . La presunzione di innocenza è, di contro, il fondamento della civiltà moderna ed il frutto di una scelta garantista a tutela della sicurezza degli innocenti, anche se, talvolta, a fronte dell’impunità di qualche colpevole.
L’imputato innocente potrà temere il giudizio solo laddove esso si collochi al di fuori della logica dello Stato di diritto, di talchè <<la paura, e anche solo la sfiducia o la non sicurezza dell’innocente, segnalano il fallimento della funzione medesima della giurisdizione penale e la rottura dei valori politici che la legittimano>> .
Laddove, tuttavia, sussista contraddizione tra l’immagine dell’amministrazione della giustizia penale che lo Stato vuole accreditare e la maniera nella quale in realtà si realizza la repressione dei reati, ci sarebbe da chiedersi << se non sia una sorte ineluttabile delle dichiarazioni dei diritti di stampo liberale quella di contenere enunciazioni di principio del tutto platoniche, destinate nella maggior parte dei casi a rimanere sulla carta; enunciazioni delle quali si sente la necessità proprio perché nella realtà quotidiana sono negate, e che in pratica diventano una sorta di falsa coscienza dell’ordinamento>> .
Tale discrasia potrebbe evidenziarsi per la scarsa sensibilità della coscienza sociale nei confronti del principio, per il pregiudizio nei confronti dell’imputato, facilmente assimilato, quando non effettivamente confuso, con il colpevole, per la assimilazione tra l’accusa e l’accertamento della responsabilità, per il contributo emotivo della stampa e degli altri mezzi di comunicazione di massa, alla formazione dell’opinione pubblica.
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