Riassunto analitico
La tesi analizza il caso del Petrolchimico di Porto Marghera esponendo la storia, illustrando i capi di imputazione e le differenti conclusioni a cui sono pervenuti il Tribunale, la Corte d’Appello di Venezia e la Corte di cassazione, soffermandosi sui percorsi argomentativi svolti nei tre gradi di giudizio. Successivamente si approfondiscono due fondamentali istituti del diritto penale ossia il nesso di causalità e la colpa. Codesto procedimento è considerato il primo rilevante processo di diritto penale del lavoro per malattie professionali causate dall’esposizione a sostanze cancerogene. In seguito ad un esposto presentato da Gabriele Bortolozzo nel 1994, un lavoratore della Montedison, la Procura di Venezia avvia un’indagine e successivamente vengono rinviati a giudizio ventotto persone che ricoprivano posizioni di garanzia, di direzione o di gestione, tra il 1969 e il 2000, contestando le fattispecie di reato di omicidio colposo, lesioni personale colpose e contro l’incolumità pubblica, delitti di strage, disastro aggravato, disastro colposo per inquinamento ambientale e l’avvelenamento colposo di acque di falda per uso domestico o agricolo nonché l’avvelenamento colposo o l’adulterazione colposa di risorse animali destinate all’alimentazione. Questo caso è peculiare poiché riguarda una sostanza tossica la cui esposizione provoca malattie multifattoriali e che presentano un periodo di latenza molto lungo. Si scopre della cancerogenicità del CVM dopo diversi studi. Le aziende Goodrich e Solvay iniziarono ad osservare, nel 1964, che alcuni lavoratori esposti ad elevate dosi di CVM contraevano l’acrosteolisi, una malattia degenerativa delle ossa. Si scopre che l’esposizione al CVM causa due patologie ossia la sindrome di Raynaud e l’acrosteolisi. Successivamente uno studio del dottor Viola del 1969 osserva una correlazione tra l’esposizione al CVM e l’insorgenza del cancro nei polmoni, nella pelle e nelle ossa dei topi. La Montedison incarica nel 1970 il professor Maltoni ad effettuare ulteriori ricerche che portarono alla dichiarazione della correlazione, anche sugli uomini, tra esposizione al CVM ed insorgenza dell’angiosarcoma epatico, tumore al fegato. L’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiara la cancerogenicità del CVM nel 1973. Nel corso del processo della durata decennale, si sono contrapposti diversi orientamenti dottrinali che hanno dibattuto sul tema della causalità e della colpa. La sentenza di primo grado viene depositata il 29 maggio 2002 e ritiene che fino al 1974 non fosse prevedibile la cancerogenicità del CVM perché lo studio del dottor Viola del 1969 era condotto solo sugli animali. Di conseguenza solo a partire dal 1974 si possono ritenere esigibili delle condotte della Montedison, che da quella data ha concretamente posto in essere, riducendo le esposizioni nei limiti ritenuti tollerabili, pertanto deve escludersi l’esistenza della colpa. Sulla sussistenza del rapporto di causalità la Corte d’Appello conferma quanto stabilito dal Tribunale, ossia il difetto di prova della correlazione tra l’esposizione al CVM e tumori diversi dall’angiosarcoma, dalla sindrome di Raynaud e l’acroosteolisi. Sul tema della colpa sancisce diversamente utilizzando il criterio della default opinion. La Corte di cassazione propende con quanto stabilito dalla Corte di merito e deposita la sentenza il 6 febbraio 2007.
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